Scuole chiuse, l'appello di 300 sanitari a Mattarella e Draghi

Sono i medici e gli infermieri bresciani che chiedono in una lettera la riapertura della scuola per i figli dei sanitari
Da lunedì 15 marzo, chiusi anche gli asili nido
Da lunedì 15 marzo, chiusi anche gli asili nido
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«Chiediamo che il governo rifletta sulla scelta che pone ai sanitari: prendersi cura dei malati o dei propri figli?». Un appello accorato quello che viene inviato oggi, giorno in cui tutte le scuole, di ogni ordine e grado, riabbassano le saracinesche. Lo fanno anche le poche che avevano riaperto i battenti, perché da oggi siamo in zona rossa. Bisogna fermare la diffusione del contagio da coronavirus e diminuire la pressione sugli ospedali. Ed è proprio in quegli ospedali - di città e di provincia- che lavorano i trecento firmatari della lettera indirizzatata, tra gli altri, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al presidente del Consiglio Mario Draghi.

La lettera è stata fisicamente scritta dai medici dell’Ospedale Civile Emirena Garrafa e Roberto Micheli e condivisa da colleghi medici, infermieri e terapisti impegnati in ospedali pubblici e privati di città e provincia. Prima firmataria è Donatella Albini, medico e delegata alla Salute del Comune che sottolinea: «Nè privilegi nè concessioni quelli che chiedono. Non parliamo di eroi, ma di donne e uomini che devono conciliare i tempi di lavoro e quelli di vita in un momento in cui siamo ancora nel pieno di una pandemia che ha acuiti le diseguaglianze socioeconomiche e di genere». 

Scrivono, i trecento firmatari: «A seguito della decisione del ministero dell’Istruzione che impedisce l’accesso alla didattica “in presenza” ai figli dei sanitari, beffardamente emanata nella giornata internazionale dei diritti delle donne, vorremmo manifestare la nostra delusione per un provvedimento che mortifica gli ex-eroi della pandemia e li espone al dilemma: mi prendo cura dei miei figli o dei malati?». Una domanda forte che i professionisti supportano con alcune citazioni sui rischi per i bimbi deprivati della frequenza scolastica. Tra queste, una pubblicazione sulla prestigiosa rivista Science (Davies et al, marzo 2021) «ha sottolineato come, anche in presenza della variante inglese, la chiusura delle scuole non rappresenti una misura efficace per il contenimento del contagio se non associata a molte altre misure estremamente restrittive per il resto della popolazione». 

Ancora: «Dai dati della nostra città, Brescia, una delle più colpite anche in questa ondata, si rileva come il tasso di positività dei contagi di asili nido, scuole materne e scuole elementari sull’intera popolazione scolastica, da nidi alle secondarie fino al secondo grado, sia solo del 2.16%, percentuale nettamente inferiore a quello della popolazione generale. Non sono pertanto le scuole dell’obbligo a rappresentare il focolaio di diffusione più pericoloso. La chiusura delle scuole nell’area critica bresciana, risalente a oltre 2 settimane fa, non ha infatti portato ad alcuna riduzione dei contagi che, anzi, continuano ad aumentare. Come continua a salire la pressione sugli operatori sanitari, già sfiancati da un anno di emergenza, a cui si chiede di farsi carico a tempo indeterminato della scolarità del proprio figlio e contemporaneamente di aumentare la propria disponibilità per la “trincea”».

Ed ecco il dilemma: «Con l’abolizione della frequenza scolastica di cui hanno usufruito i figli dei sanitari lo stato chiede ai medesimi di scegliere tra l’improponibile abbandono a casa dei minori e la ricerca, nella contingenza impossibile, di una babysitter fidata per turni che arrivano fino a 12 ore al giorno (da pagare con un bonus da 100 euro a settimana). In regime di “zona rossa” non è nemmeno più possibile (per quanto già fosse eticamente scorretto) lasciare il proprio figlio un giorno dal cuginetto, un giorno alla benevolenza della vicina, e per lo più dai nonni non ancora vaccinati, per chi ha la fortuna di non averli persi nella precedente ondata di Covid. Sempre a causa dell'emergenza, ai sanitari non è permesso usufruire dei giorni di ferie, né dei giorni di congedo-Covid. Ma è altrettanto impossibile per i sanitari utilizzare i "congedi parentali" che spetterebbero per legge, perché significherebbe da parte di medici, infermieri e corpo sanitario abbandonare gli ospedali ed i luoghi di cura: ipotesi eticamente inimmaginabile e che certamente solleverebbe lo sdegno della popolazione nei confronti di una categoria ora considerata privilegiata, anzichè ancora una volta umiliata».

L’appello: «Per curare i malati dobbiamo essere aiutati. Chiediamo solamente che in tempo di emergenza i figli dei sanitari possano frequentare l’asilo nido, la scuola materna, quella primaria e secondaria esattamente come fanno giustamente i bambini con disabilità, in modo che i genitori del comparto sanitario possano continuare a curare i pazienti negli ospedali, negli ambulatori, nelle Rsa, nelle comunità, negli spazi fragili, e in questa nuova ondata possano anche vaccinare la popolazione. Così come chiediamo che sia prioritaria la vaccinazione per le educatrici degli asili nido e delle scuole materne, e per le insegnanti delle scuole dell’obbligo. Perché siano realizzabili due diritti fondamentali della nostra Costituzione: la salute e l’istruzione».

 

 

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