Sberna: «Manca il contenitore politico per i cattolici»

Il deputato bresciano: «Siamo sparpagliati in tutti i partiti, questo ci impedisce di incidere sulla politica»
© www.giornaledibrescia.it
© www.giornaledibrescia.it
AA

Cinque anni di servizio e al servizio dei cittadini. Mario Sberna ora torna alla vita di sempre e aspetta di incontrare il vescovo di Brescia, mons. Tremolada, per avere indicazioni sul suo futuro impegno in Diocesi.

On. Sberna perché ha deciso di non ricandidarsi?
Dopo cinque anni di esperienza si mette sulla bilancia ciò che si è fatto e una persona può ritenere di aver dato tutto. Questo lavoro l’ho fatto con coscienza ed una ripetizione sarebbe un tentare di ripetere quello che con amarezza non sono riuscito a raggiungere. D’altra parte altre cose le abbiamo raggiunte: la legge contro lo spreco alimentare, il «Dopo di noi», la carta famiglia per cui la settimana scorsa è stato pubblicato il decreto attuativo sulla Gazzetta Ufficiale che aspettavamo da più di un anno. Senza dimenticare l’impegno sui bonus per le famiglie numerose, per i bambini, per le mamme. Tutte queste cose sono risultati ottenuti e dopo cinque anni non si può pensare di riproporle di nuovo. Vi è poi un aspetto politico che mi convince sulla non ricandidatura: il mio partito di riferimento, che sarebbe Civica popolare, è un piccolo segno che non va da nessuna parte e che non può aspirare a forme di governo o di servizio al Paese con una realtà numericamente così ridotta.

Che differenza c’è da Scelta civica?
Scelta civica è nata come realtà centrista che aveva la pretesa di riportare in auge quei valori che erano propri dei vecchi partiti di centro. Tanto è vero che il fallimento di Scelta civica è collegato al fatto che alcuni petali di questo fiore non erano centristi e forse l’errore è stato fatto al momento delle candidature. Detonante fu la gestione del fenomeno migratorio: per me e altri provenienti da Sant’Egidio i migranti erano essere umani che andavano assolutamente aiutati nella loro difficoltà e disperazione, ma vi erano altri componenti di Sc che erano ben lontani dall’immaginare un servizio all’uomo e all’essere umano, ma diventava solo un problema economico e sociale da risolvere con le dovute maniere.

In Italia quanto è difficile essere un cattolico impegnato in politica?
Siamo sparpagliati in tutti i contenitori politici e con questa legge elettorale la moltiplicazione dei partiti è quasi inevitabile e con essa la dispersione aumenta. In questa situazione non esiste un contenitore certo in cui candidarsi e così chiedere il voto agli elettori sulla base proprio dell’essere cattolici in politica. Non voglio sempre scomodare Paolo VI ma è davvero un servizio fatto alla carità. Tutto il mondo che si richiama a questi valori può farlo diventare patrimonio comune. Mi riferisco a valori come solidarietà, bene comune, servizio, attenzione ai più deboli e agli oppressi.

Il fatto che i cattolici siano sparpagliati in grandi e piccoli partiti non consente un’azione comune. Lo abbiamo visto sui temi etici in questa legislatura, quando nei partiti piccoli vi è stato un rigurgito di coscienza senza il sostegno dei cattolici in politica che si trovavano nei partiti come Pd, M5S e Forza Italia che avevano la fedeltà dell’appartenenza partitica come dominante, rispetto ai valori del Vangelo, pena la non ricandidatura. Questo l’ho visto in occasione di alcune votazioni, come quella sul ddl Cirinnà sulle unioni civili.

Ho visto cattolici impegnati applaudire in Parlamento l’approvazione della legge: questo non solo mi ha fatto male, ma mi ha fatto capire quanto la frammentazione dei cattolici sia deleteria per quanto riguarda la propria formazione e la propria coscienza. Ci vorrebbe un contenitore che consentisse una presa di posizione coerente da parte dei cattolici. Purtroppo questo contenitore non c’è più dal 1992, nonostante Cesa lo rimetta in un logo. Non è un logo che fa la coerenza, ma le persone. Ricordo poi che all’interno di questo nuovo partito «Noi per l’Italia» vi sono persone che hanno applaudito all’approvazione di leggi come il biotestamento o il divorzio lampo.

Sembra però ormai tramontata, anche in Vaticano, l’idea di un partito cattolico o dei cattolici. Lo stesso papa Francesco si è più volte espresso in termini negativi rispetto a questa ipotesi.
Quella secondo cui non serve è la linea della Conferenza episcopale italiana e anche del Papa. Potrebbe essere vista anche come linea evangelica: Gesù dice: «Siete la luce del mondo, il sale della terra. Siate come lievito. Vi mando come pecore in mezzo ai lupi». Ci sono molte citazioni evangeliche che possono giustificare questo atteggiamento. Da un punto di vista pratico, però, da uomo che è stato in politica dico che il fatto che non vi sia un contenitore di libertà per portare avanti le istanze proprie è una sconfitta in partenza. Dopodiché noi sappiamo che il cristiano praticante è minoranza nel Paese e minoranza in generale.

Non pensa che ci sia stato un cambio di linea?
È vero, ma è anche frutto di ciò che è avvenuto nel Paese. Il contenitore identificato come il partito dei cattolici, la Dc, è saltato per aria e non essendoci un’alternativa praticabile forse oggi vale la pena richiamare al valore della presenza come testimonianza. In fin dei conti è stato il ruolo che la pattuglia composta da me e altri 36 ha avuto in questa Legislatura, siamo stati il pungolo alla maggioranza. Da questo punto di vista anche papa Francesco non può non prendere atto di quanto sia importante che vi siano cattolici che continuano a richiamare i valori cristiani. Ma ripeto, da un punto di vista dei risultati concreti, ovvero la possibilità di fermare una legge, questi non ci saranno. Se vi fosse quindi una forza unitaria avrebbe un’incidenza maggiore sulle politiche sociali di questo Paese.

Si riferisce a qualcosa nello specifico?
Mi riferisco allo ius soli. Se vi fosse stata una grossa compagine al centro capace di incidere, oggi sarebbe legge e 800mila ragazzi avrebbero il diritto di essere chiamati cittadini italiani senza altre forche caudine, ma per il semplice fatto di essere nati in Italia, aver studiato qui e parlare italiano meglio di te, di me e di Di Maio.

Cosa farà ora che ha chiuso la sua esperienza in Parlamento?
Torno molto volentieri a lavorare in Diocesi e a fare ciò che il vescovo mi incaricherà di fare, non lo decido io. Lavorerò ancora per le persone, quelle che più hanno bisogno. Insomma riprenderò il ruolo che hanno gli operatori in Curia: l’attenzione all’evangelizzazione, alla carità, al servizio, ai più bisognosi. Anche prima di essere eletto e di aver fondato l’associazione Famiglie numerose mi sono sempre definito un privilegiato: essere retribuito in un ambiente che è quanto di più servizievole ci possa essere. Il poter coniugare il proprio desiderio di servizio agli altri con la possibilità di far crescere i propri figli e mantenere la famiglia.

All’inizio della legislatura ha fatto molto notizia l’essersi presentato alla Camera con i sandali e l’aver fatto la carità per le strade di Roma. Secondo lei perché tutto questo stupore?
È uno stile di vita che viene da lontano e al clamore mediatico non ho dato particolare attenzione. Mi sono laureato in Scienze religiose e ho studiato Morale economica sui testi di Chiavacci che diceva due cose che mi sono rimaste in mente e hanno guidato la nostra vita come famiglia. «Non cercare di arricchirti» e «Se hai, hai per condividere». Questa modalità di vivere la propria fede nell’incontro con il denaro è stata anche un’ancora di salvezza a Roma perché mi ha consentito di non cambiare classe sociale e non cambiare stile di vita. Il prendere lo stesso stipendio che prendevo in Curia e il resto condividerlo ti consente di ricordarti da dove vieni sempre e sapere dove vai. Nei primi mesi tutti mi volevano intervistare, ma ho scelto di lasciar scemare l’attenzione. La carità è una cosa privata.

Secondo lei chi è la figura più influente della politica italiana?
Sembra assurdo ma si tratta di Silvio Berlusconi. Nonostante l’età ha ancora capacità, grazie ai suoi media, di influenza. Altri mi sembrano delle fiammelle come Salvini e Di Maio.

E Renzi?
Ho l’impressione che faccia parte delle fiammelle. Fa parte di quei nostri personaggi che hanno poca durata. Poi è la storia che ce lo dirà.

Cosa pensa di Gentiloni?
È il centrista per eccellenza. Con moderazione, con intelligenza e senza tanto clamore porta avanti un governo e una visione del Paese. Gentiloni durerà: è arrivato ad una maturazione dopo un’esperienza frammentata in gioventù. Ora è arrivato all’esperienza del suo nonno, che ha permesso di superare il non expedit e di fatti ha riportato i cattolici in politica.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia