Sanculotti nostrani in salsa Rousseau

Gira che ti rigira, siamo sempre lì. C’è una specie di eterno ritorno dell’immaginario della Rivoluzione francese nel grillismo. Infatti, a ulteriore conferma, è il momento degli «stati generali» convocati da Giuseppe Conte (e da Rocco Casalino, visto che si tratta di un’operazione anche molto comunicativa). E arrivano buoni ultimi, poiché tutta l’ideologia grillina è costellata di riferimenti al 1789: dalla piattaforma Rousseau ai portavoce, dalla disintermediazione all’avvocato del popolo, dal direttorio fino alla volontà generale (dei militanti).
I vertici pentastellati hanno compiuto un’operazione di reinvenzione della rivoluzione, utilizzando quella francese (liberale) e non quella russa (bolscevica, ben più controversa, e certo indigesta ai settori di destra del loro elettorato). Naturalmente, non è il revisionismo storiografico di François Furet a guidarli, quanto un’idea astorica e neutralizzata della rivoluzione che converte il 1789 in un moto di popolo general-generico e piuttosto fumoso, fatto di parole d’ordine prêt-à-porter, buone per tutti gli usi. E in particolare per quello che serve a presentare un partito - che, pur maggioritario e al governo, continua a rifiutare il processo di istituzionalizzazione - come antisistemico e, appunto, «rivoluzionario». Insomma, sanculotti a 5 Stelle.
Ma bisognerebbe ricordarsi che gli stati generali - specie se più sbandierati che concreti - non hanno portato molta fortuna ai regnanti di Francia dell’epoca. Come sanno tutti. O, forse, non proprio tutti tutti.
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