«Ritorno nella città del mio master per sfuggire alle bombe»

È la storia di Lida, che ha trovato riparo a Brescia dagli amici dell’Università dopo un viaggio di 5 giorni
Lida con la madre e il padre prima della guerra - © www.giornaledibrescia.it
Lida con la madre e il padre prima della guerra - © www.giornaledibrescia.it
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Lida Lelechenko viveva nel centro storico di Kiev, aveva un nuovo lavoro da quattro giorni, amiche, tempo libero, passioni e tanti progetti, quelli che hanno anche molte giovani donne di 28 anni in Italia. A distanza di un mese dallo scoppio della guerra nella sua Ucraina, è in Italia con la cugina e la figlia di quest'ultima, di soli 12 anni. Un lavoro Lida ce l'ha ancora perchè la società informatica che l'aveva da poco assunta continua a lavorare e lei lo fa da remoto, da Brescia.

La storia

Lida è arrivata in città dopo cinque giorni in auto, il marito della cugina le ha accompagnate fino al confine poi è ritornato a casa in treno. Si è diretta qui perchè, ai tempi del suo master che l'aveva portata in Italia, Francia e Spagna alla scoperta del vino, della sua produzione e del marketing legato a questo prodotto, sei anni fa, aveva studiato anche in città. E qui ha contatti e amici che le hanno in poco tempo trovato una casa. «Subito dopo la prima bomba - racconta - io e i miei genitori ci siamo trasferiti in una casa che abbiamo in periferia: lo zaino era già pronto con il necessario, documenti e poco altro. Non volevo andarmene, volevo restare con la mia famiglia, nel mio Paese, ma poi hanno organizzato una colonna di evacuazione».

La famiglia ne parla e la decisione viene presa non a cuor leggero: «Non è stata una scelta facile, ma è stata obbligata perché sono la sola opportunità della mia famiglia». Il padre della 28enne, che ha meno di 60 anni, ha una tipografia che ovviamente è ferma, la mamma ingegnera non ha più un lavoro da quando è iniziata la guerra e lei da qui sostiene la famiglia e l'esercito mandando denaro.

La fuga

Poi i ricordi affiorano, come spesso succede da quando è in Italia: racconta di quell'aereo caduto a meno di un chilometro da casa, del viaggio lunghissimo attraverso Moldavia, Romania, Ungheria e Slovacchia, dei civili colpiti mentre scappano, dell’uomo che ama che vive in una città occupata e della sua preoccupazione per chi è rimasto. Tutto con compostezza. «Mi sono sentita in colpa dopo essere arrivata in Europa, ma poi ho capito - spiega - che sono più utile qui. Ognuno fa quel che può». Si sveglia più volte durante la notte e controlla le notizie, la mattina, poi, chiama famiglia e fidanzato. Infine si mette al lavoro, fa riunioni con il cuore pesante, si muove per uffici perchè è l'unica del suo piccolo nucleo familiare che parla italiano, cerca di aiutare i connazionali facendo da interprete.

«Non ci resta che aspettare - racconta -. Aiuterebbe molto una No fly zone, risparmierebbe morti e distruzioni. Ogni giorno, mentre leggo le notizie, cambio idea su cosa potrà essere, ma credo che il conflitto durerà mesi. Quello che so con certezza - aggiunge - è che non è solo l'Ucraina ad essere in pericolo. Lo siamo tutti. Dobbiamo fare in fretta perchè Putin è fuori controllo e non mi fido dei negoziati».

Il futuro

Se da una parte c’è molta sfiducia, dall’altra c'è una grande speranza nel presidente Zelensky, una forte repulsione per ciò che è russo e un grande orgoglio per il coraggio del suo popolo: «Ho ricominciato a credere nella gente. Il mio popolo si supporta non solo dal punto di vista fisico, ma soprattutto morale. Quando ci incontriamo la prima cosa che ci chiediamo è "Come stai?" e ormai da giorni ci diciamo che questa domanda è un nuovo modo per dirci "Ti voglio bene", "Mi occupo di te". Un amore che abbiamo steso sopra il nostro Paese».

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