Radon, la «bolla» rossa della radioattività indica la Valsabbia

C’è una «bolla rossa» sui Comuni della Valsabbia. A disegnarla è il Sinrad, acronimo di Sistema informativo nazionale sulla radioattività e sta ad indicare la presenza di una sostanza incolore, insapore, inodore e «nobile»: per questo non si vede e il più delle volte neppure si percepisce.
Ma c’è ed è radioattiva. Si tratta del radon, un gas che si genera dal decadimento dell’uranio, ed è presente nei suoli, nelle rocce e nei materiali da costruzione in concentrazioni differenti a seconda della loro composizione. Se però all’aperto si disperde ed è quindi più raro che la sua concentrazione sia «da allarme», al contrario nei luoghi chiusi non aerati si accumula. E può diventare un ospite sì invisibile, ma senza dubbio pericoloso.
I territori
Premessa: quella tratteggiata dal Sinrad è solo una delle mappe che si possono comporre seguendo la concentrazione del radon. Non essendo definito un criterio univoco per l’elaborazione dei dati, ne sono stati nel tempo impiegati diversi che hanno originato vari tipi di analisi, a seconda dei parametri che si prendono in esame. Il Sistema nazionale, in particolare, ha lo scopo di consegna il quadro generale dei territori. Cosa emerge? Che nella nostra provincia le concentrazioni più alte di radon si riscontrano in Valsabbia. In particolare è Sabbio Chiese il Comune con il parametro da tenere maggiormente sott’occhio: l’unico che sfonda il muro dei 200 bequerel per metro cubo, arrivando a 233 bq/m3. Seguono Odolo con un valore di 183 bq/m3, Caino e Vallio Terme a pari merito con 171 bq/mq e Agnosine con 158 bq/mq.
Tutti gli altri Comuni hanno valori sotto i 150, ma nessun territorio del Bresciano scende sotto i 50. Queste, lo ricordiamo, sono misurazioni basate sul valore della media comunale, un tipo di monitoraggio utile per determinare le aree a rischio, così da poter mettere in campo una serie di contromisure pratiche per tempo, prime fra tutte quelle edili per una più efficace aerazione dei locali. Ad essere nociva, infatti, è l’inalazione del radon, gas che tende a concentrarsi negli ambienti bassi e con uno scarso ricircolo dell’aria.
Le abitazioni
Diverso il quadro sul quale si è concentrato invece il monitoraggio condotto dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa Lombardia), che ha puntato i fari sui valori riscontrati attorno alle abitazioni collocate a piano terra.
Nasce così la tabella dei Comuni bresciani, che indica in rosso (a segnalare un livello di attenzione particolare) i territori nei quali i dati raccolti stimano che in più del 20% delle case si riscontrano livelli di radon superiori a 200 bequerel per metro cubo. Ad emergere sono due dati interessanti.
Il primo: la cintura dei Comuni sotto osservazione si allarga e ne include 35. Il secondo è che le percentuali più alte si riscontrano comunque in Valsabbia: all’elenco del Sinrad si aggiungono Bione (57%), Casto (50), Mura (48), Preseglie (55), Valvestino (56) ma anche la Valcamonica ha in questo caso qualche i suoi due bollini rossi, collocati su Temù e Vione.
In generale i risultati delle campagne di misura hanno mostrato come nell’area di pianura, dove il substrato alluvionale, poco permeabile al gas, presenta uno spessore maggiore, la presenza di radon sia poco rilevante. «Nelle aree montane in provincia di Brescia, Bergamo, Sondrio, Varese e Lecco le concentrazioni sono invece risultate decisamente più elevate» si legge nel report dell’Arpa. Le analisi statistiche sulle misure effettuate in Lombardia hanno inoltre mostrato che la concentrazione di radon indoor oltre che alla zona geografica (e quindi alle caratteristiche geomorfologiche del sottosuolo) «è anche strettamente correlata alle caratteristiche costruttive, ai materiali utilizzati, alle modalità di aerazione e ventilazione e alle abitudini di utilizzo del singolo edificio».
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