Quell'eco millenaria che richiama le nédre

Quando il dialetto sapeva parlare con gli animali
Anatre - © www.giornaledibrescia.it
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C’è anche un dialetto usato per parlare con gli animali. Un codice che ha risuonato per secoli (in alcuni casi per millenni) nelle nostre cascine. E non solo nelle nostre. Ricco di varianti il vocabolario riservato ai cavalli. Alla sua grigia ronzina zingara, attaccatta alle sbarre del carro, mio nonno per farla muovere ordinava «valà». Altrove - ho scoperto poi - il comando suonava come «j-ò» oppure «ü-o». Quando il carro doveva muoversi passo passo (ad esempio tra due andàne di fieno per permettere ai contadini al lati del carro di caricarlo col ràs-c) il comando diventava «valà ’npàs».

Per farlo girare a destra l’incitamento era «fàtilà» e per la sinistra «ièich» (sarà forse collegato a link, che significa a sinistra in tedesco?). Un codice elementare, ovviamente, ma proprio per questo proverbiale. Per indicare qualcuno che non comprende nemmeno le cose più semplici, mia suocera dice «el capìs gnà j-ò fatilà...». Ma, tra i comandi di mio nonno, quello che alle mie orecchie di bambino sembrava il più sonoro era «löö» (con l’intonazione che cala nella seconda vocale) dato per far fermare il cavallo. Praticamente lo stesso suono usato dai cowboys: «whóa» (anche qui l’intonazione cala sulla seconda vocale). Entrambi (il bresciano e il western) derivano da un «hóo» che nell’inglese medievale ha la stessa funzione. Radice latina ha invece il richiamo dato dalle donne per far rientrare nèdre e nedròcc a fine giornata: «àna àna àna, anì anì anì». I romani chiamavano le anatre proprio ànas. Una continuità linguistica durata duemila anni. E scomparsa in una generazione.

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