Quanto costa morire per mano di Caino?

I femminicidi e le famiglie spezzate dalla violenza sulle donne
Violenze (immagine simbolica) - © www.giornaledibrescia.it
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Il drammatico tema del femminicidio illuminato dai riflettori mediatici e dai social sembra trasfigurato in una fotografia instagrammabile. Le manifestazioni perlopiù concentrate in novembre hanno indotto alcune persone a chiedersi se la tragedia della violenza contro le donne conservi integro il suo cuore o se l’esposizione, anziché fortificarlo, non l’abbia mandato in burnout, cioè in qualche modo «bruciato». Quel cuore lo conservano le vittime vive a cui la tragedia si mostra ogni giorno, guardando con desolazione un posto vuoto a tavola o portando i segni indelebili di gesti e parole violente. Ho conosciuto la tragica storia di Monia Del Pero attraverso le parole della sua mamma Gigliola, una donna che sopravvive con un dolore intatto il quale, nella convinzione di non avere ottenuto giustizia dallo Stato, le tiene la schiena diritta. A distanza di trent’anni continua la sua battaglia personale affinché vengano riconosciute con equità le vittime collaterali che restano.

Dopo la tragedia molte famiglie spezzate si trovano anche a dover fronteggiare ingenti spese, poiché un funerale non è come un matrimonio per il quale è possibile rinviare la data di celebrazione. Gigliola Bono, pur devastata, ha imparato a barcamenarsi fra gli incartamenti processuali e a decifrare il linguaggio forense, sperimentando che per le vittime di femminicidio l’articolo 3 della Costituzione non viene applicato.

Non tutti sono uguali di fronte alla Legge se non esiste un Fondo che risarcisca le vittime di reati violenti, come avviene per quelle degli incidenti sul lavoro, della strada o di mafia. La legge quantifica in circa settemila euro un omicidio e poco più di quattromila lo stupro. Sono cifre che non possono essere considerate dei veri risarcimenti, poiché i danni psicologici derivanti necessitano del costoso supporto di professionisti. Permane come un tarlo il bisogno dei familiari di vedere comminata una pena adeguata e il desiderio spesso infranto di leggere negli occhi di Caino un pentimento che spesso non avviene. Ogni giorno la lista dei femminicidi aggiunge nuovi nomi e noi siamo tutti esecutori testamentari della volontà pietosa di custodire il ricordo delle nostre sorelle. Sopra le vittime aleggiano le parole di Minerva Mirabal, dalla quale si originano i fili insanguinati della resistenza contro la violenza di genere: «se mi ammazzano, tirerò fuori le braccia dalla tomba e sarò più forte»!

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