Piazza Vittoria, «il» modello del fascismo-messaggio

Scelto per rappresentare l’estetica degli spazi urbani centrali, in una singolare mostra a Milano
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Di regola le mostre sono monotematiche. Si incentrano su un soggetto, analizzandolo in tutte le sue caratteristiche. Inconsueto è invece il tentativo di rappresentare un intero periodo storico in ogni manifestazione attraverso la specola dell’arte. Può vantarsi di esserci appieno la Fondazione Prada con l’esposizione «Post Zang Tumb Tuuum. Art, Life, Politics Italia 1918-1943», curatore Germano Celant. Allestita nella sede di Milano, in largo Isarco 2, e visitabile fino al 25 giugno (info: www.fondazioneprada.org), la rassegna esplora il mondo dell’arte tra le due guerre mondiali inserendolo - e questa è la novità sorprendente di questa operazione - nel contesto sociale e politico in cui le opere sono state create, diffuse ed esposte. L’ambizione che muove il progetto è osservare l’arte non in situazioni anonime e monocrome, generalmente bianche, bensì in uno spazio storico di comunicazione. Il viaggio immersivo nella società del Ventennio è ritmato da 24 ricostruzioni parziali di sale istituzionali, di studi, di gallerie private.

Planimetrie. La zona «risanata» del centro di Brescia, prima e dopo la sistemazione comprendente piazza della Vittoria
Planimetrie. La zona «risanata» del centro di Brescia, prima e dopo la sistemazione comprendente piazza della Vittoria

Si tratta di ambienti - costituiti grazie all’ingrandimento in scala reale di immagini storiche - dove sono ricollocate le opere originali. Ad affiancarle, progetti architettonici, piani urbanistici e allestimenti di grandi eventi organizzati dalla macchina di propaganda fascista e riproposti attraverso spettacolari proiezioni volte a restituire l’imponenza dell’impatto comunicativo tanto degli allestimenti dell’epoca quanto dell’estetizzazione della politica del Duce e della nazionalizzazione delle masse. Opere, oggetti e documenti sono organizzati nel percorso espositivo in gruppi tematici disposti in ordine cronologico. Ad accogliere il visitatore sono il futurismo declinato vuoi nei quadri (tra gli altri, di Marinetti e di Depero) vuoi nei progetti di architetti (spicca Sant’Elia) nonché nelle Biennali internazionali d’arte di Venezia degli anni Venti e nella arcinota Mostra della Rivoluzione fascista concepita da Dino Alfieri al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1932.

Un’esposizione, quest’ultima, ideata per celebrare gli intenti e i risultati industriali, culturali e sociali del regime, che riscosse un enorme successo di pubblico con quasi 4 milioni di visitatori e la vendita di 250mila cataloghi, per un incasso totale di oltre 5 milioni di lire (una cifra enorme, equivalente agli odierni cinque milioni di euro).

Presenta lo stesso carattere avanguardistico nonché una pari eccellenza tecnica e innovazione artistica l’Esposizione dell’Aeronautica italiana. In entrambe - come nelle altre innumerevoli esposizioni tematiche di argomento storico, sociale, politico ed economico volute dal governo fascista - l’artista si veste da soldato impegnato sul fronte interno a realizzare il fine ultimo del regime: «cambiare il carattere degli italiani» attraverso un processo di rigenerazione e militarizzazione. È notoria l’attenzione rivolta da Benito Mussolini a costruire una nuova scena pubblica che conferisse un volto fascista al paesaggio urbano. È la costruzione/ricostruzione delle città il momento centrale di questa fascinazione collettiva volta a potenziare il consenso popolare al regime. Gli spazi urbani centrali non solo sono modernizzati: diventano anche veicolo di un’estetica che trasmette il messaggio politico fascista. A mo’ di esempio, in mostra è stato scelto proprio il modello - di proprietà della Fondazione Brescia Musei - della nostra piazza della Vittoria nel rifacimento di Marcello Piacentini. Uno dei massimi esponenti dell’architettura di regime che, non a caso, sarà chiamato a dirigere i lavori dell’E42, l’«Olimpiade della Civiltà»: la grande esposizione universale pianificata per testimoniare nel 1942 la rinascita del primato italiano sotto l’egida fascista, improntata a una «monumentalità classicheggiante intesa come lingua unica capace di interpretare la confidente stabilità del regime».

A chiudere il racconto espositivo è la messa in scena su un vasto bancone dello scavo bibliografico di studi e di letture che ha generato la mostra. Questa sezione finale, dal nome eloquente «Bibliografia», ricompone le diverse fonti documentarie che - dalla storia dell’arte alla letteratura, dal cinema alle arti applicate, dall’architettura alla storia - sono i tasselli fondamentali su cui la mostra «si è articolata per fornire una diversa lettura che non prescinde da tutte quelle che, in passato o in futuro, saranno dedicate alle arti italiane dal 1918 al 1943».

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