Per i sindaci indennità più alte: «Ma non tocchino i bilanci»
Per riuscire a chiudere in pareggio il bilancio, ogni anno, confida che la vendita del legname porti in cascina almeno 30-35mila euro. Altrimenti sono guai, perché - spiega - «si rischia di andare in rosso». Mauro Bertelli è sindaco di Irma e quando gli si chiede cosa ne pensi del possibile aumento dell’indennità da primo cittadino, la sua voce tradisce un moto di terrore: «La cosa più importante è che quei soldi non si debbano ricavare dai nostri miseri conti pubblici comunali, perché altrimenti non ce la facciamo». Bertelli al momento per se stesso non incassa neppure un euro: «Prendo qualche rimborso spesa quando le riunioni mi costringono a macinare chilometri, ma per il resto nulla. Se i soldi arrivano dallo Stato è diverso, per carità. Ma anziché ottenere 200 euro preferirei che qualcuno mi desse i soldi per i servizi e per salvare il nostro bosco». Eccola la realtà degli enti locali. I partiti raccontano che ormai trovare un candidato che sia disposto ad occupare la poltrona da sindaco stia diventando (letteralmente) un’impresa. E, sulla carta, il rialzo dell’indennità di funzione inserito nella legge di bilancio 2022 (alias: un compenso più alto e adeguato alle responsabilità) potrebbe smussare le riserve e fare in modo di incassare qualche «sì» in più.
La riforma - ancora tutta da assestare e, in alcuni punti in particolare, da chiarire - è però per il momento guardata dai protagonisti ancora con sospetto. Non perché esista una «fronda del no», anzi: dieci anni fa, quando i costi della politica erano un fronte di guerra, sarebbe stato inimmaginabile parlare di aumento dei compensi, mentre oggi - con un Governo che attraversa quasi tutte le compagini - non è più un tabù. È, semmai, che dopo anni di tagli e ritagli, dopo un aumento delle responsabilità (civili e penali) e conoscendo il garbuglio burocratico, quasi tutti ci vanno con i piedi di piombo. E fanno bene.
La riforma approvata dal Consiglio dei ministri, infatti, è ancora in fase embrionale: non solo l’Anci chiederà di rivedere alcuni parametri («le coperture sono un’incognita, manca l’automatismo che è invece necessario perché non si può andare a discrezione, la norma è positiva ma va riscritta: non ci sono criteri chiari sulla gradualità» rimarca il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono), ma a mancare all’appello è l’iter dei decreti attuativi che possono stravolgere le quote destinate ai Comuni. Per ora si prevede che la modifica scatti a partire dal 2022 con gradualità: il Governo ha previsto un fondo complessivo di 100 milioni per il prossimo anno, di 150 milioni per il 2023 e di 220 milioni dal 2024 in avanti. Queste cifre, tuttavia, non andrebbero a coprire l’intera spesa, che dovrà essere colmata dai Comuni stessi con il voto favorevole del Consiglio comunale.
La nuova regola cambia i limiti ai compensi parametrandoli in sostanza a quelli dei presidenti di Regione, ovvero 13.800 euro lordi al mese come massimo, e in decrescita in base al numero di abitanti di ogni territorio. Tradotto in cifre: se ai sindaci metropolitani (come quelli di Milano, Torino e Roma) andrà un aumento del 100%, per quelli a capo di un capoluogo di provincia con più di 100mila abitanti, come Brescia, l’aumento sarà tra il 70 e l’80%. Vicesindaco, presidente del Consiglio e assessori, a cascata, subiranno sorte analoga. Per i Comuni non capoluogo si va dal 45% dei più grandi (sopra i 50mila residenti) al 16% di quelli più piccoli, ovvero sotto i tremila abitanti.
Giusto o sbagliato? Dipende da come la norma, che tenta così di fornire una prima risposta alle richieste dell’Anci, sarà alla fine approvata. Il punto è: chi pagherà l’intero aumento? Il Governo ha previsto un fondo ad hoc progressivo, ma copre solo il 50% dello schema preventivato. Lo Stato cioè «concorrerà» alla spesa, che per il resto sarà a carico delle casse pubbliche. E qui si apre una questione politicamente delicata: posto che per alzare l’indennità serve una variazione di bilancio approvata dall’Aula, i sindaci accetteranno di innescare un dibattito pubblico sul tema, con il rischio di sottrarre risorse ai servizi e finire sulla graticola? Per molti (come ad esempio il sindaco di Irma) la risposta sarà negativa. Certo è che più di qualche amministratore locale ricorda che quello di sindaco è ormai diventato un mestiere quasi con «costi a carico». Due esempi. A Brescia il sindaco guadagna 5.466,18 euro lordi al mese, il vice 4.099,64 mentre gli assessori 3.279,71 (fonte: sito del Comune). A Desenzano, 30mila abitanti circa, il primo cittadino prende un’indennità di 1.885 euro netti. Le mensilità sono dodici e, soprattutto, tutti devono pagare di tasca loro una salata copertura assicurativa.
La normativa non tutela infatti chi amministra i Comuni, che rischia di finire nei guai a causa di vicende che scavalcano le sue competenze dirette o a causa di fatti sui quali non possono intervenire con tempestività. Per riassumerla in una frase: su molte tematiche hanno pochi poteri ma grandi responsabilità. Ed è questo il punto chiave e la battaglia su cui anche l’Anci è in prima linea (prima ancora del nodo compensi che, comunque, esiste): il peso delle responsabilità civili e penali alle quali chi si siede su quello scranno va incontro.
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