Paolo Savio è il primo Pm bresciano alla Direzione Antimafia a Roma

«La mafia è radicata anche a Brescia, si deve cambiare prospettiva per fermarla»: si congeda così dopo 20 anni nella procura lombarda
Il bresciano Paolo Savio - © www.giornaledibrescia.it
Il bresciano Paolo Savio - © www.giornaledibrescia.it
AA

L’Antimafia era nel suo destino. Tutto già scritto nel 1992. «Sono diventato magistrato in quello che è stato ribattezzato il "concorso Falcone". La nostra vicepresidente di Commissione era Francesca Morvillo, la compagna di Falcone. Il giorno dell’attentato di Capaci lei stava tornando a Palermo 24 ore dopo il mio esame scritto». Per Paolo Savio il cerchio si è chiuso 30 anni dopo, con il Csm che lo ha nominato sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia. È il primo pm bresciano a ricoprire il prestigioso incarico a Roma, che ha assunto giovedì.

Dottor Savio, che cosa rappresenta questo nuovo capitolo della sua vita professionale?

«È un sogno che si realizza. Per me e per tutto l’ufficio bresciano che ora vede riconosciuto a livello nazionale il lavoro fatto negli ultimi 20 anni. Non vado io a Roma, ma va tutta la Direzione distrettuale antimafia di Brescia. Sono il portabandiera di tutti colleghi, il nano che si è appoggiato sulle spalle di giganti».

Perchè anni fa scelse di entrare nell’antimafia a Brescia, che non era certo un territorio noto per la criminalità organizzata?

«Venivo da cinque anni passati in Procura a Catania, applicato alla direzione distrettuale. Fabio Salamone che era nell’antimafia a Brescia mi chiese di affiancarlo e di aiutarlo e due anni dopo, essendoci un posto vacante, l’allora procuratore Giancarlo Tarquini scelse me per quel ruolo. Così sono nate inchieste storiche. Penso a Penelope, Nausica, Vesuvio per ricordare le macro operazioni da 70-80 arresti. Da lì ho iniziato a conoscere le infiltrazioni che il territorio bresciano subiva dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Nell’inchiesta Vesuvio era emersa per esempio la delocalizzazione nel bresciano dell’Alleanza di Secondigliano».

Paolo Savio, a destra, con Fabio Salamone e Giancarlo Tarquini in una foto del 2001 - © www.giornaledibrescia.it
Paolo Savio, a destra, con Fabio Salamone e Giancarlo Tarquini in una foto del 2001 - © www.giornaledibrescia.it

Lascia Brescia dopo 23 anni. Come è cambiata la Procura di Brescia in questi anni?

«Rivivo le emozioni del luglio del 1994 quando come uditore entrai nell’ufficio di Brescia e venni assegnato al dottore Guglielmo Ascione. Nel Duemila quando sono tornato dopo l’esperienza di Catania ho ritrovato una Procura profondamente cambiata. Con una dimensione diversa con magistrati preparati come Bonfigli, Piantoni e Chiappani. Era una Procura che veniva dall’esperienza di Mani pulite e aveva una visibilità nazionale e con un carico di lavoro enorme. E il merito di questo cambiamento era soprattutto del procuratore Giancarlo Tarquini che aveva fatto crescere l’ufficio».

Savio e Tarquini in una foto dei primi anni 2000 - Foto © www.giornaledibrescia.it
Savio e Tarquini in una foto dei primi anni 2000 - Foto © www.giornaledibrescia.it

A proposito di procuratori, in questi anni ne ha avuti quattro e due reggenti. Partiamo proprio da Tarquini.

«È stato un papà per me. Ho un debito di affetto, di riconoscenza e gratitudine verso di lui. Mi ha seguito per 15 anni trasmettendomi una dedizione e una passione al lavoro. Oggi mi avrebbe fatto piacere vederlo in prima fila a salutarmi. Se vado alla Direzione nazionale antimafia il merito è suo».

Paolo Savio e Nicola Maria Pace in una foto d'archivio degli anni Novanta - Foto © www.giornaledibrescia.it
Paolo Savio e Nicola Maria Pace in una foto d'archivio degli anni Novanta - Foto © www.giornaledibrescia.it

Poi c’è stato Nicola Maria Pace.

«Un grande signore. Ha trasmesso sensibilità nuove per certi tipi di reato, a partire da quelli ambientali. Una persona molto capace e altrettanto buona».

Il successore di Pace è stato Tommaso Buonanno.

«Non conservo alcun ricordo».

E ora c’è Francesco Prete.

«É perfettamente in linea con l’impostazione di Tarquini e ha la sua stessa passione per questo lavoro. È un procuratore che ha avuto un merito straordinario. Ha ereditato un ufficio profondamente lacerato e ferito e lo ha completamente ricostruito rendendolo oggi un gioiellino investigativo e produttivo al quale ha conferito una credibilità nazionale. Ma non posso dimenticare un altro nome».

Quale?

«Quello di Fabio Salamone che è stato anche reggente a lungo. Con lui ho condiviso tutto nella mia esperienza professionale. Ho imparato tutto da lui».

Paolo Savio e Fabio Salamone - Foto © www.giornaledibrescia.it
Paolo Savio e Fabio Salamone - Foto © www.giornaledibrescia.it

Lei era in corsa anche per diventare procuratore aggiunto a Brescia, ruolo oggi ancora vacante. Perchè ha preferito Roma?

«Perchè era giusto cambiare. Sono entrato in magistratura per fare il pubblico ministero e il sogno nel cassetto era far parte della Direzione Nazionale antimafia che aveva creato Giovanni Falcone. Sono sicuro che restando applicato a Brescia per alcune indagini, potrò restituire al territorio quello che vedo in altri uffici giudiziari: diverse metodolologie investigative, di lavoro, di organizzazione e di rapporti con i sevizi di polizia giudiziaria». 

Un paio di anni fa ospite in tv su Teletutto disse: «C’è una certa imprenditoria che va a braccetto con quella criminalità organizzata che ha sostituito l’F24 al kalashnikov».È questa la fotografia che scatta della provincia bresciana?

«Parzialmente sì. Ci sono strutture criminali di stampo mafioso che hanno dimostrato una profonda capacità di adattamento al territorio dove operano senza rinunciare al dna violento. É una mafia che non impone, ma propone. Propone un servizio allettante e performante per un imprenditore. E quindi diventa un partner credibile e attendibili per chi vuole fare cattiva impresa».

Paolo Savio ospite a Teletutto - Foto © www.giornaledibrescia.it
Paolo Savio ospite a Teletutto - Foto © www.giornaledibrescia.it

Però va detto che non ci sono mai state condanne per mafia a Brescia. Perchè la mafia non viene riconosciuta a processo?

«Forse tra un anno le risposte possono essere diverse. Bisogna cambiare occhiali. Quelli che si utilizzano in certe regioni d’Italia qui non possono funzionare. È un momento di opportunità per tutto il distretto. Deve essere un passaggio di crescita di sensibilità. Siamo legati al concetto del kalashnikov, ma bisogna entrare nel mondo dell’intermediazione finanziaria, dei reati fiscali in cui uno dei partner diventa la struttura criminale di servizio. Io sono certo che tra qualche anno ci sarà un percorso di ulteriore sensibilità da parte dell’organo giudicante. Ricordiamoci però che già ci sono riconoscimenti bresciani da parte dei giudici delle indagini preliminari e del Riesame che hanno confermato la sussistenza del metodo mafioso di queste strutture criminali».

È un addio a Brescia o il sogno è di tornare tra qualche anno per chiudere il cerchio e diventando procuratore capo?

«Ho un debito d’onore verso questo territorio che è casa mia. Sono profondamente bresciano. Mi sento ancora giovane e spero di avere la possibilità tra qualche anno di poter tornare ad operare direttamente a Brescia».

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato