«Ora il plasma iperimmune dei guariti è l'unica terapia efficace»

Alessandro Santin, scienziato bresciano docente alla Yale University: «Non dormo la notte nel sapere quanti morti che si potrebbero evitare»
Il plasma di chi ha sconfitto la malattia potrebbe essere un ottimo alleato per la terapia
Il plasma di chi ha sconfitto la malattia potrebbe essere un ottimo alleato per la terapia
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Nel sangue di chi ha sconfitto la malattia ci sono gli anticorpi al virus. Per questo, l’uso di una terapia a base di plasma iperimmune per trattare il Covid-19 è stata sperimentata in Cina. Da inizio aprile lo è anche a Pavia e a Mantova dove si sta testando su venti pazienti l’utilizzo della parte più liquida del nostro sangue, quella che contiene gli anticorpi. 

I pazienti sono ancora pochi, mentre negli Stati Uniti è stato adottato il modello di «immunizzazione passiva» che permette a tutti gli ospedali l’utilizzo del plasma dei guariti. Un appello all’Aifa, l’agenzia regolatoria italiana che approva le sperimentazioni, affinché anche da noi si adotti il modello americano è stato lanciato da Alessandro Santin, oncologo e immunologo di origine bresciana, dirigente di un centro di ricerca alla Yale University, certo che si tratti dell’unica strada oggi percorribile per arginare i danni dell’epidemia.

Professor Santin, cosa l’ha spinta ad appellarsi alle autorità italiane, lei che da oltre un quarto di secolo vive negli Usa?
Non dormo la notte pensando al numero di morti inutili, anche nella mia Brescia che è una delle città più colpite. Il plasma delle persone guarite al momento è l’unica arma efficace che ci permetterà un reale cambio di gioco nella lotta al coronavirus. Non è una suggestione, ma un metodo supportato da solide basi scientifiche, frutto di venticinque anni di esperienza in immunologia e oncologia applicata.

Cosa sappiamo del Sars-Cov-2?
Sappiamo, ad esempio, che la sequenza genetica è per l’80% identica a quella della Sars, anche se il Covid è molto più contagioso. Sappiamo che, ad oggi, non esistono farmaci specifici: la clorochina, ad esempio, è usata con successo contro la malaria, ma per il Covid non fa nulla. Anzi, è tossica. L’eparina? Funziona, ma se serve significa che il paziente è già molto grave. Si stanno buttando via tempo, studi e denaro in direzioni inutili e dannose.

Quale meccanismo fa sì che il plasma delle persone guarite possa essere utile nella cura di quelle ancora malate?
Da noi abbiamo trattato 600 pazienti in quattro giorni e decine di migliaia nelle prossime settimane. Quando una persona si ammala di Covid-19 sopravvive perché il suo sistema immunitario nel giro di 10-15 giorni produce anticorpi in grado di neutralizzare il virus. Il Sars-Cov-2 viene bloccato. Tuttavia, nella prima settimana di malattia chi è infettato è totalmente privo di anticorpi ed il suo futuro si gioca proprio in questi giorni. Se il virus si diffonde in modo massivo, i più deboli sviluppano gravi polmoniti virali interstiziali che possono generare in una tempesta di citochine che il sistema immunitario fatica a controllare, tant’è che un numero elevato di persone muore.

È necessario dunque agire in fretta, nella prima settimana dalla comparsa dei sintomi e l’unica cura efficace, al momento, è quella dell’immunizzazione passiva che si ottiene infondendo il plasma dei guariti in grado di fornire immediatamente gli anticorpi neutralizzanti e subito dopo l’infusione il paziente è già protetto. Meglio del vaccino. Prima di tutto, perché non c’è e prima che sia disponibile anche per un uso di massa passeranno da un anno ad un anno e mezzo. Poi, perché è rapido: anche il vaccino più efficace richiede dalle due alle tre settimane prima di fare effetto.

Una sperimentazione è in corso anche a Pavia e a Mantova.
Il lavoro che stanno facendo i colleghi è ottimo. Tuttavia, i pazienti trattati sono pochi, mentre la letalità rimane ancora molto alta. Serve uno studio allargato a livello nazionale, su modello americano: dopo la richiesta della Mayo Clinic di curare i malati gravi con il plasma dei guariti, la Fda (equivalente alla nostra Aifa) ha contattato la Croce rossa ed i Centri di raccolta del sangue invitandoli a collaborare. Penso all’Avis in Italia, ma anche alla fitta rete di volontariato che solo a Brescia ha un peso ed un’efficienza enormi. Non sarebbe difficile organizzarsi. Una persona guarita può salvare da due a tre persone e dopo qualche giorno può tornare a donare il sangue.

Un nodo che la scienza non ha ancora sciolto è quello dell’immunità: chi ha avuto il Covid-19 può riammalarsi?
Non abbiamo dati sufficienti per affermare con certezza che non ci si ammala più. Tuttavia, da quelli della Sars, un’infezione respiratoria causata da un altro coronavirus simile al Covid, sappiamo che l’immunità dura anni. In uno studio sui macachi è risultato ciò: sono stati infettati con «tonnellate» di virus, si sono ammalati e sono stati male come accade a noi, ma una volta guariti non hanno più sviluppato un’altra infezione.

Perché la Lombardia?
Età avanzata, alto numero di fumatori e inquinamento. Per la prima, il dato è oggettivo. Poi, il fumo. Esso ha un effetto deleterio provato e aggrava l’infezione in quanto lo stress alveolare causato dalla combustione del tabacco manda in sovraespressione il recettore che il virus usa per entrare nelle nostre cellule. Se entra una maggiore quantità di virus nelle cellule il danno diventa più difficile da controllare da parte del nostro sistema immunitario. Anche l’inquinamento può potenzialmente agire in maniera simile al fumo sui pneumociti polmonari, ma non ci sono ancora studi che lo dimostrino.

 

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