Non è facile invecchiare con garbo

Invecchiare, la solitudine, i figli impegnati e le case di riposo: una riflessione
Generazioni  © www.giornaledibrescia.it
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Con il tempo ci siamo abituati alla presenza di persone che gradualmente prendono il nostro posto. Mi riferisco ai badanti, in prevalenza donne dell’Est che vivono con i nostri genitori e dormono nella nostra vecchia camera. Con loro le nostre mamme e i nostri padri parlano, mangiano, camminano ma soprattutto ascoltano i loro ricordi e i loro pensieri. Noi figli, sentendoci giustificati dall’impegno del nostro lavoro, spesso ci limitiamo ad assolvere quelle pratiche che sentiamo più come un dovere, gestite attraverso il pagamento delle bollette, di visite mediche e versamenti del commercialista.

Nella scelta legittima di provvedere al nostro necessario e al nostro superfluo abbiamo perso inesorabilmente le tappe evolutive dei nostri bambini, per lo stesso motivo oggi perdiamo le ultime confidenze dei nostri anziani genitori. La nostra società, proiettata verso l’implosione delle responsabilità, indirizza verso relazioni che diventano fredde come il vetro, dalle quali traspare la perdita del contatto con la terra, l’abbandono delle tradizioni e lo scolorire dei valori umani. Sono i bisogni materiali posti all’apice della piramide che hanno preso il sopravvento, come se quanto stiamo costruendo oggi dovesse durare per sempre. L’aumento delle aspettative di vita, amplificando i confini della sopravvivenza, confliggono con l’assenza dei parenti e degli amici che la morte indifferente a tutte le tecnologie umane falcia anche in giovani età. Vi è un’altra morte insopportabile a molti anziani, quella somministrata loro in vita, nutrita dalla solitudine e dalla mancata presenza affettiva.

È uno spettro che aleggia in tante case di riposo dove i medici, gli infermieri e i terapisti si sostituiscono alla famiglia, quando con professionale carità a volte li accompagnano con tenerezza nell’ultimo segmento di vita. Sul web circola una poesia di Cecilia Resio dedicata con schiettezza a quanti si accingono a diventare anziani che dice: «non è facile invecchiare con garbo, bisogna accettarsi nella nuova carne, con i capelli bianchi all’improvviso». Però non è semplice trasformarsi in rami d’albero ed è ancora più difficile diventare la propria radice quando la società e i propri figli non accettano l’inevitabile decadimento. «Da cacciatore diventerai selvaggina» scrive Gavino Ledda. Queste poche parole racchiudono il pragmatismo delle regole universali della vita, in esse si compie il destino fatale di capovolgimento e restituzione assegnato dalla Giustizia Divina ad ogni elemento vivente.

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