Nel Bresciano sono dieci l’anno i neonati non riconosciuti
Uno ogni mille. Ovvero, tra gli otto e i dieci neonati all’anno nel Bresciano vengono partoriti in anonimato (nel 2022 i nuovi nati vivi nella nostra provincia sono stati 8.680). L’evento si svolge in ospedale, ma la madre, per sua scelta, viene dimessa sola, senza il suo bambino.
Uno degli ultimi episodi, un paio di mesi fa alla Poliambulanza: a otto ore dal parto, la donna ha firmato le dimissioni. Se n’è andata senza riconoscere il figlio e non si è più fatta vedere. Il bambino è stato dato in adozione. Un paio di casi all’anno di verificano anche al Civile, unico ospedale in cui è presente la «Culla per la vita», posizionata sedici anni fa sulle mura esterne dell’ospedale, lato via Pietro Dal Monte. Nella «culla», tuttavia, non è mai stato lasciato alcun neonato. Quelli non riconosciuti e adottabili sono tutti nati in Ostetricia.
Dopo il caso del piccolo Enea, lasciato dalla madre nella «culla per la vita» del Policlinico di Milano, al di là delle statistiche, in molti si sono chiesti le ragioni di un gesto tanto forte come quello di portare avanti una gravidanza e decidere di non crescere il proprio bambino.
Testimonianza
Paolo Villani, direttore della Neonatologia della Poliambulanza, condivide con il Giornale di Brescia alcune considerazioni: «Una mia amica che fa la neonatologa negli Stati Uniti ricorda sempre come non ci sia evento nella vita umana che racchiuda la promessa di felicità come la nascita di un figlio. Questo sembra quasi una contraddizione rispetto alle donne abbandonano i propri piccoli per mille motivi, che non sto sicuramente a giudicare, come la vicenda accaduta nel giorno di Pasqua alla Mangiagalli di Milano. Mi piace pensare - continua Villani - che queste mamme, in realtà, vogliano così bene alle loro creature da cercare una possibilità di speranza differente da quella che loro sentono di poter dare. Perché puoi lasciare un figlio, che hai tenuto in grembo, solo perché gli vuoi tantissimo bene, solo perché per te è speciale, altrimenti risolveresti diversamente la "questione". Certo da noi, in un paese ad alto sviluppo, una mamma non dovrebbe mai arrivare a questo».
Il fenomeno
Secondo i dati dei tribunali dei minori sulle dichiarazioni di adottabilità, in Italia ogni anno in media 400 bambini non sono riconosciuti alla nascita. Una decina nel Bresciano, con tendenza a diminuire di anno in anno. Un fenomeno che si è ridimensionato con il tempo: negli anni ’50 si registravano fino a cinquemila casi l’anno a livello nazionale.
Per chi arriva a prendere questa drammatica decisione esiste, osiamo dire per fortuna, una legge che consente di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato affinché sia assicurata l’assistenza e anche la tutela giuridica. Il nome della madre - come si legge sul sito del ministero della Salute - «rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto "nato da donna che non consente di essere nominata"».
L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante. Il piccolo vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.
Il tempo per pensare
Alla madre che decide di non riconoscere il figlio al momento del parto, viene data un’altra possibilità. Intanto, dieci giorni perché la dichiarazione di nascita deve essere resa entro i termini di dieci giorni e permette la formazione dell’atto di nascita, l’acquisizione del nome e la cittadinanza.
Tuttavia, scrive il Ministero: «La madre con particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento, può chiedere al Tribunale per i minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento. In questi casi la sospensione della procedura di adottabilità può essere concessa per un periodo massimo di due mesi, nei quali la madre deve mantenere con continuità il rapporto con il bambino».
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