Nascere in tempo di Covid: le mamme bresciane e la pandemia

A Brescia ha funzionato la continuità ospedale-territorio costruita dall'Asst Spedali Civili. Ma c'è anche chi ha scelto il parto in casa
La piccola Diletta, nata all'ospedale di Esine durante la pandemia - Foto © www.giornaledibrescia.it
La piccola Diletta, nata all'ospedale di Esine durante la pandemia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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C’è Anna, che a luglio ha partorito il suo secondo figlio, e che dell’isolamento in reparto dice: «Il clima più tranquillo mi ha permesso di vivere l’arrivo di Carlo con più calma. Non mi è mancato non vedere amici e parenti, mi è dispiaciuto non avere accanto il mio compagno, ma ho avuto più tempo per dedicarmi al bambino». Laura ha invece dato alla luce in estate la sua prima figlia, il parto non ha avuto complicazioni ma «è stata un po’ dura riprendersi, ed essere sola in ospedale con la piccola non è stato facile, anche se lo ostetriche mi hanno aiutata molto».

Come è diventare mamma in tempo di pandemia? Più intimo, per certi versi, più solitario, per altri.

Isolate in ospedale
L’emergenza sanitaria ha avuto tra i suoi effetti la revisione dei protocolli per i reparti ospedalieri di Ostetricia e Ginecologia, e anche per i consultori pubblici e privati del territorio. Nel pieno della prima ondata, come stabilito a livello regionale, nei reparti la mamma poteva essere assistita da un familiare solo durante il travaglio e per le prime due ore dopo il parto. Poi visite vietate, tutte, fino al momento della dimissione. In estate, quando la corsa del contagio ha rallentato, è stata concessa ai papà un’ora di visita al giorno, «a rotazione per non creare assembramenti» come ha spiegato il dottor Quaglia, primario alla Poliambulanza. Ora, nel pieno della seconda ondata, si è tornato all’isolamento quasi totale.

Ci sono mamme come Anna che hanno vissuto positivamente la lontananza forzata da parenti e amici durante il ricovero in ospedale. Altre, come Laura, avrebbero invece preferito avere accanto il compagno per l’aiuto con l’avvio della nuova vita in tre.

Se ad oggi non ci sono ancora studi sull’effetto che la pandemia ha avuto e avrà sulla gravidanza e la maternità, negli ospedali e nei consultori si raccolgono sensazioni.

Per quanto riguarda la vita domestica, «la solitudine delle mamme si è accentuata con il lockdown - dice la dott.ssa Adriana Testa, responsabile del consultorio famigliare dell’Asst Spedali Civili -, e allo stesso tempo si è perso l’aspetto sociale della maternità».

Sul fronte ospedaliero, invece, «senza voler demonizzare le visite in reparto - spiega il dott. Federico Quaglia, responsabile del reparto di Ostetricia e Ginecologia in Poliambulanza - abbiamo osservato che le mamme hanno più tempo per allattare e dedicarsi ai bambini, con benefici per il loro rapporto».

Il Covid, per quel che riguarda i protocolli ospedalieri, lascerà qualcosa in eredità. «Sicuramente alcuni cambiamenti diventeranno strutturali dopo la pandemia» conferma il prof. Enrico Sartori, direttore del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale Civile, che oltre all’applicazione delle direttive regionali in primavera ha guidato la rivoluzione del suo reparto, all’epoca uno dei 6 hub di riferimento in Lombardia per le pazienti positive al coronavirus. «Abbiamo diviso il quinto piano due aree, est con 19 posti e ovest con 18 - prosegue -. Una l’abbiamo dedicata alle pazienti dubbie o positive, l’altra alle pazienti con tampone negativo». Da protocollo, le donne in attesa con ricovero programmato arrivano in ospedale avendo già eseguito il tampone, per le altre invece il test viene effettuato prima dell’ingresso in reparto.

«Per le pazienti Covid-free - spiega ancora il prof. Sartori - abbiamo istituito la dimissione precoce, in prima giornata, cioè dopo 24 ore, per i parti fisiologici, in seconda giornata, ossia a 48 ore dal parto, per i cesarei. Ovviamente si tratta di una possibilità e non di un obbligo per le neomamme, che in molti casi però hanno scelto di tornare a casa in tempi brevi da un lato per la paura del contagio, dall’altra per il desiderio di stare meno isolate e tornare al più presto in famiglia».

Un neonato che cerca di strappare la mascherina al medico: la foto, pubblicata da un ginecologo di Dubai, è uno dei simboli del 2020 - Foto da Instagram/Samer Cheaib
Un neonato che cerca di strappare la mascherina al medico: la foto, pubblicata da un ginecologo di Dubai, è uno dei simboli del 2020 - Foto da Instagram/Samer Cheaib

Qui la medicina territoriale ha funzionato
Fondamentale per la sostenibilità di questo sistema è stata «la grande collaborazione con il consultorio» tiene a sottolineare Sartori. I neonati, infatti, a 48 ore dal parto, vengono sottoposti al test di Guthrie, il «prelievo dal tallone», uno screening metabolico che serve per verificare l’eventuale presenza di alcune malattie piuttosto gravi, come la fibrosi cistica o l’ipotiroidismo congenito.

Per farlo, nel caso in cui a 48 ore dalla nascita i bambini fossero già stati dimessi, si sono mosse sul territorio le ostetriche dell’Asst Spedali Civili. «Possiamo dire che il percorso di continuità ospedale-territorio ha funzionato bene - dice Luisa Soldati, coordinatrice del gruppo ostetriche -, un sistema che già esisteva prima del Covid e che non è mai stato interrotto, anzi, è stato potenziato durante la pandemia».

Essendo state sospese o riorganizzate nei mesi del lockdown più severo alcune prestazioni (come i pap-test, recuperati poi in agosto con grandi sedute al Centro Fiera), anche il percorso nascita del consultorio dell’Asst Spedali Civili è stato riorganizzato.

E così, non potendo ricevere gravide e neomamme in viale Duca degli Abruzzi, le 21 ostetriche e le 3 assistenti sanitarie dell’Asst si sono mosse sul territorio di competenza, ossia la città e 24 comuni dell’hinterland. Per il test di Guthrie, ad esempio, viene fatto il prelievo a casa e il sangue raccolto viene poi consegnato al Civile per le analisi.

L’assistenza alla mamme nel periodo post-partum è però di più ampio respiro e rientra in quel sistema di sostegno che si chiama dimissione protetta. Al di là delle mamme seguite necessariamente a domicilio per aver scelto la dimissione precoce, ci sono le mamme che hanno chiesto proprio la dimissione protetta - un servizio gratuito e attivo da diversi anni - per l’assistenza all’allattamento o ai primi giorni di nuova vita con un neonato.

Se tra gennaio e novembre 2019 la dimissione protetta è stata richiesta da 782 mamme, nello stesso periodo del 2020 le domande sono state 1.158. L’aumento è dato in parte dall’uscita anticipata dall’ospedale rispetto agli standard pre-Covid, ma certamente anche dal bisogno di relazione dopo i giorni di isolamento in reparto e più in generale per via del lockdown, che ha ridisegnato anche la geografia delle gravidanze seguite dal consultorio.

Se nel 2019 le visite domiciliari sono state solo 7, perché le donne potevano accedere agli spazi del consultorio, quest’anno le visite domiciliari sono state 293.

«Abbiamo ridisegnato l’intero percorso nascita - spiega ancora la dott.ssa Soldati -, senza mai fermarci. Avevamo gli strumenti e li abbiamo usati per fornire alcune prestazioni da remoto, dai corsi pre-parto al sostegno all’allattamento o al sostegno alla genitorialità. Non abbiamo sospeso i corsi, come il massaggio neonatale, o il progetto Nati per leggere. Il risultato è che tra pre e post parto abbiamo raggiunto quest’anno 1.424 mamme».

Le ostetriche sono reperibili dalle 8 alle 20 sette giorni su sette e lavorano in equipe con l’ospedale Civile, punto nascita di riferimento per il team del consultorio dell’Asst Spedali Civili. Anche in Poliambulanza è stata attivata la dimissione precoce, ma le mamme tornano poi in ospedale per il test di Guthrie o gli altri controlli.

Nascere in casa
Oltre al sistema degli ospedali e dei consultori, c’è anche la realtà privata a cui le donne in questi mesi di pandemia si sono rivolte per i corsi di preparazione al parto o per il sostegno all’allattamento. In alcuni casi, 18 per la precisione, perfino per partorire in casa.

Sono le donne che hanno scelto il sostegno dello studio Inanna, un team di due ostetriche, Barbara Mazzoni e Paola Prandini, con base a Brescia, che dal settembre del 2017 accompagnano le famiglie al parto tra le mura domestiche.

«Abbiamo avuto tante richieste, soprattutto in primavera, nel pieno della pandemia - racconta Barbara -. Molte donne erano spaventate dal virus e dall’idea di rimanere sole in ospedale. Molte richieste non sono state accolte perché non abbiamo forze sufficienti, altre perché la paura del Covid non può essere la motivazione che spinge a partorire in casa, è una scelta che i genitori devono sentire e che non può essere fatta per paura del contagio».

Resta il fatto che se nel 2019 il team di Inanna ha fatto nascere in casa 6 bambini, nel 2020 sono stati 18, di cui 5 secondogeniti. E nel mese di dicembre sono altre 3 le gravidanze che il team sta seguendo.

«Il Covid non ha cambiato le linee guida del parto in casa - spiega Barbara -. La gravidanza deve sempre essere fisiologica, ovvero senza complicazioni, e il luogo del parto non può essere a una distanza superiore ai 30 minuti da un punto nascita. Inoltre, studiamo la rete territoriale di primo soccorso che esiste lungo il tragitto casa-ospedale».

Se l’aumento dei parti in casa non è dirattamente connesso alla pandemia, conseguenza accertata è invece il maggior numero di richieste di assistenza per il travaglio in casa, evitando così di arrivare in ospedale troppo in anticipo per partorire, e le visite dopo la dimissione.

La sensazione di Barbara e Paola è dunque la stessa che si ha nei reparti ospedalieri e al consultorio di viale Duca degli Abruzzi: le donne hanno bisogno di relazione.

Come stanno le mamme: la sorveglianza psicologica
Al Civile, in collaborazione con il consultorio, è stato attivato un progetto di sorveglianza psicologica, un’indagine sugli aspetti psicoemotivi positivi e negativi della maternità in tempo di pandemia. «Grazie a una rete di psicologi e assistenti sociali abbiamo attivato uno screening sul benessere emotivo dal punto nascita a casa - dice la dott.ssa Testa. Per i risultati, come detto, è presto, ma certamente «il rapporto figli-genitori si è modificato durante il lockdown e abbiamo regitrato un boom di segnalazioni dal tribunale dei minori per maltrattamenti in famiglia» aggiunge, sottolineando che ad oggi sono 1.424 i minorenni che l’Asst Spedali Civili segue tra Brescia e i 24 comuni dell’hinterland di competenza.

Baby boom o calo delle nascite?
Se davvero, come sostengono docenti universitari di demografia, nel 2021 assisteremo ad un’ulteriore diminuzione della natalità in Italia, secondo un trend che prosegue ormai da diversi anni, è presto per dirlo. 

La previsione, pubblicata nei giorni scorsi, emerge da un sondaggio realizzato da un gruppo di dieci esperti, voluto nell'aprile scorso dalla ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che stanno studiando gli impatti della crisi epidemiologica da Covid 19 sulla natalità e sulle scelte familiari in Italia.

La pandemia, dicono i risultati del sondaggio, sta contribuendo ad abbassare la natalità in Italia e si ritiene verosimile aspettarsi una riduzione sotto le 400 mila nascite. Vedremo.

Secondo il prof. Sartori e il dott. Quaglia per ora è difficile fare previsioni, un’idea più precisa potremo farcela nel primo trimestre del prossimo anno, a un anno dall’inizio della pandemia.

Nascere dopo il Covid
Certo è che il Covid lascerà cicatrici e nuovi modi di operare. «L’ospedale deve essere un posto sicuro per gli operatori e per i pazienti - conclude Quaglia -. Non esiste solo il Covid e dovremo rinforzare sempre i comportamenti più adeguati, a cominciare dall’utilizzo di mascherine, guanti e visiere. Si tratta di un atteggiamento di sicurezza per il personale e i degenti che ci riporta con la memoria al periodo dell’Hiv e che ci aiuta a prevenire infezioni che ancora oggi esistono come epatiti e tubercolosi».

«Ridurre gli assembramenti nei reparti, poi, consente al personale di lavorare con maggior tranquillità, e mette al sicuro mamme, e soprattutto neonati, dal rischio di esporsi al contagio. Non ultimo, torna centrale il rispetto dell’intimità della famiglia».

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