«Mohamed? Un operaio modello»

Lo stupore nell'azienda di Breno dove lavora il marocchino. La casa di Niardo e i vicini del quartiere: «I Jarmoune famiglia tranquilla».
Viaggio nella vita del "presunto" terrorista
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Chi è Mohamed Jarmoune? È l'apprendista operaio, il timido e lavoratore modello, che va e viene dal laminatoio in sella al suo scooter? Oppure una giovane mente abile a muoversi dietro le false identità del web e costantemente sintonizzata sulle frequenze del terrore?

Scopri essere l'uno ma anche l'altro, nel lungo pomeriggio di Niardo. «La famiglia è qui da qualche anno ma non lo conosco», taglia corto il sindaco, Carlo Sacritani.
Duemila anime, più o meno duecento extracomunitari: diciotto vivono al civico 24 di Via Brendibusio, verso la frazione Crist, in sei appartamenti di media qualità. Al secondo piano, vive la famiglia Jarmoune: mamma, papà, la figlia Jamila che lavora come operaia in un negozio della zona. E Mohamed, il 20enne operaio della Sider Laminati di Breno - occhi da pantera buona e sorriso a portata di mano - che non aveva mai marcato visita, che non era mai in ritardo di un minuto.

«È il nostro unico dipendente marocchino ed è un operaio modello», ha spiegato Sabina Chiarolini, socio della Sider Laminati di Breno. «Correttissimo nei rapporto con noi e con i colleghi, timido, volenteroso e ben integrato». Mai dato evidenti segni di insofferenza verso la cultura occidentale, mai una parola fuori posto che potesse rivelare la sua simpatia per l'ideologia Jihadista.
L'altra, intorno alle due e mezza, gli uomini della Digos hanno messo piede nell'azienda e hanno fatto aprire l'armadietto di Mohamed. «Vi sembrerà sciocco ma siamo basiti, senza parole», continua Sabina Chiarolini. «Mi auguro che possa essere soltanto una bravata, un gioco che si è spinto troppo in là».
Di certo si è spinto nella ragnatela del web, ha intrecciato relazioni pericolose, fino a partorire sulla carta un attentato terroristico contro un luogo di culto ebreo.

Ai campanelli di Via Brendibusio, più suoni e meno ti rispondono: nei corridoi, si sente lo schiocco di una porta che si chiude a chiave. «È gente per bene, integrata con gli italiani», conferma la barista che gestisce il locale al piano terra del condominio. «Il papà passa da qui ogni tanto, lui invece si vedeva poco».
La Renault Clio di Mohamed è parcheggiata sotto casa. Il piazzale attorno alla palazzina, garantiscono molti testimoni, da qualche mese brulica di auto forestiere. Una guerra al terrore combattuta con appostamenti pacifici e occhi di telecamere che sbucavano dai finestrini. «C'era un viavai strano ma non capivamo chi stessero cercando», sussurra una signora.
Cercavano un marocchino di vent'anni, un lavoratore tranquillo con una mente sintonizzata sul terrore.
 

Sergio Gabossi

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