«Mio figlio insultato e picchiato perché io sono russa»

Le violenze fisiche e verbali sono state registrate a scuola, sugli autobus e per strada anche a Brescia e provincia
Violenza (simbolica)
Violenza (simbolica)
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Ha gli occhi gonfi di chi non dorme da giorni. Il viso spaventato, la voce concitata. Inizia a raccontare l’episodio di cui è stato vittima un ragazzo, ultimo anno in un liceo di Brescia, che è tornato a casa pieno di lividi. Padre italiano e madre di origine russa, il giovane è stato aggredito e picchiato dai suoi compagni di scuola proprio per le sue radici russe.

Mentre parla, la donna non smette di ringraziare, come se fosse un privilegio e non un diritto essere ascoltata su un fatto di tale gravità. Anche perché non è isolato. Un altro episodio analogo è accaduto in una scuola elementare, tanto che le madri si stanno facendo coraggio per chiedere aiuto agli insegnanti: «Devono dire che i ragazzi non c’entrano e che nemmeno noi, che viviamo qui da anni, siamo responsabili di quello che sta accadendo. Anzi, il nostro popolo è vittima di tutto questo dolore nei confronti di un popolo fratello».

Un clima sempre più teso

Le aggressioni verbali e fisiche in ambito scolastico sono solo la punta dell’iceberg di un clima che rischia di trascinare tutti nelle nebbie di un odio difficilmente controllabile. Una donna del Donbass, lingua e cultura russe, stava viaggiando su un autobus diretto in Italia, quando è stata presa di mira da alcuni ucraini che erano in viaggio con lei. La sua foto è stata pubblicata sui social, accompagnata da una serie di insulti irripetibili. Vittima, la povera donna, esattamente come coloro che l’hanno insultata, di decisioni che non sono state prese nè dall’una nè dagli altri. Orfane di una pace che nel Donbass non c’è più da otto anni e vittime di una guerra che, ora, si è estesa a tutto il Paese. No, non ci basta ripercorrere la storia per trovare giustificazioni del tipo «le discriminazioni ci sono sempre state, basti pensare alle cacciate, anche dure e violente, avvenute nel Novecento, degli italiani da Jugoslavia, Egitto e Libia». Anzi, proprio rifiutiamo di pensare che ora questi schemi si ripetano, che ad orrore si debba aggiungere orrore.

Pensavamo, poveri illusi che ancora sperano che le trattative di pace abbiano la meglio sugli interessi della guerra, che qui in Occidente fosse stato compiuto qualche passo avanti rispetto ad un secolo fa. Siamo illusi che non si vogliono arrendere e, per questo, continuano a diffondere parole di distensione e a compiere gesti di pace, in particolare tra le comunità che vivono sul nostro territorio. Non dimentichiamo mai le parole della filosofa Simone Weil, ultima liberata da Auschwitz, che aveva scritto che la prima vittima in guerra è la verità. E, soprattutto, quello che scrisse il poeta cileno Pablo Neruda: «Le guerre sono fatte da persone che uccidono senza conoscersi per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono».

Nel nostro Paese chi è vittima di discriminazione per le sue origini etniche non deve aver paura a denunciare alle autorità. Questo è anche l’invito dell’ambasciata russa in Italia, preoccupata per il clima di odio che sta crescendo nei confronti dei russi. «La situazione è semplicemente terribile - racconta una cittadina di origini russe che vive da vent’anni in provincia di Brescia -. Ho parenti e amici sia in Russia sia in Ucraina. Mia nonna materna era del Donbass. Sto facendo il possibile per aiutare tutti, perché credo sia necessario sostenerci l’un l’altro. Non ci resta altro da fare, anche perché pochi tra noi condividono le decisioni del governo russo di invadere l’Ucraina. Anzi, se a Mosca sapessero che pronuncio queste parole, come avete letto, rischierei quindici anni di carcere».

A chi rivolgersi

I russi vittime di discriminazioni possono telefonare all’Ambasciata russa in Italia. La sede diplomatica lo scrive sul suo profilo twitter, invitando coloro che ricevono minacce o insulti, che sono vittime di molestie, aggressioni o violenze fisiche, a segnalare immediatamente l’accaduto alle forze dell’ordine italiane nonché all’Ambasciata (+39 3314582279 WhatsApp, Telegram). E tra noi sale lo sconcerto per chi, italiano, era convinto di vivere in un Paese tollerante e democratico.

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