«Mio caro, quanto ti ho dimenticato»

Dopo aver letto la biografia di Gabriele D’Annunzio scritta da Piero Chiara, non riesco a scollare la percezione contrastante che mi deriva. In essa «il Vate» viene descritto non solo come il grande poeta e letterato, ma nella cruda e complessa personalità di uomo narcisista, padre assente, dandy edonista dalle mani bucate.
Sono immagini dissonanti da quella dell’uomo patriota, eroe impavido della prima guerra mondiale, alla quale mi inchino. Ciò che ai miei occhi svilisce «Ariel» è l’atteggiamento che spesso ha tenuto nei confronti delle donne. Adorante o distaccato, la sensazione che il suo egocentrismo abbia inflitto sofferenze alle persone a lui vicine non me la toglie nessuno.
La figura della moglie Maria Hardouin, dei Duchi Gallese, principessa di Montenevoso, è quasi marginale, da lei ebbe tre figli e si separò. Le innumerevoli donne che si avvicendarono nella sua vita, sembrano il frutto di una accorta preferenza fra nobili o facoltose dell’alta borghesia. Tutte accomunate oltre che dal lignaggio anche dal censo, amanti dell’uomo in senso lato, poeta e drammaturgo, «personaggio» del suo tempo fuori dai canoni.
Tuttavia sembra che nella ricerca di piacere fisico e nel desiderio di fuoco che lo hanno sempre contraddistinto, si intrattenne di buon grado anche con le «servette». Piccolo, dall’aspetto fragile e con una voce stridula, per quanto fosse diventato calvo e sdentato e soffrisse di alitosi, il suo charme è stato assolutamente unico e indiscusso. In definitiva, un uomo dotato del fattore X.
Indissolubile dalla raffinatezza dei suoi versi de «La pioggia nel pineto», resta per la gente comune la memoria del suo modo «ingordo» di amare le donne. Egli fu come la sua tartaruga, morta per aver fatto indigestione di tuberose, il cui calco del carapace è conservato nella Priora del «Vittoriale degli Italiani», la casa museo di un uomo che seppe a torto o ragione essere sempre ingombrante.
Per le tante amanti celebri o anonime che indistintamente fece soffrire con il suo aulico narcisismo, trovo simbolica e compensativa la frase attribuita ad Eleonora Duse. Il poeta la incontrò nel foyer del teatro La Scala, dopo che si erano lasciati a causa dei suoi ripetuti tradimenti. Lui, si rivolse all’attrice dicendo: «Mia cara, quanto mi avete amato». Lei, rispose sarcastica: «Mio caro, non sapete quanto vi ho dimenticato».
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