Minori e reati: «C’è un’emergenza sociale più che un problema criminale»

Procuratrice, sei minorenni arrestati nelle ultime ore. Otto complessivamente in questa settimana. Tutti per rapina. La preoccupa la situazione?
«Se mi chiede se esiste una drammatica recrudescenza della criminalità minorile a Brescia, la risposta è no, non sono preoccupata. Se ci chiediamo se questa generazione di ragazzi sta sufficientemente bene, ha delle prospettive di sviluppo, personali e relazionali, dico sì, che sono preoccupata».
Chi sono i ragazzi di cui si occupa tutti giorni?
«Questi ragazzi stanno molto male. Non solo quelli che commettono reati, ma generalmente tutta la fascia d’età della preadolescenza, adolescenza e gioventù vive una situazione di particolare difficoltà che è esplosa dopo il Covid. Aveva le radici anche prima, ma dopo la pandemia le difficoltà sono venute fuori in modo più vistoso. I ragazzi hanno fatto due anni chiusi in casa e per chi ha nove, dieci, undici anni è una parte considerevole della vita. Due anni per loro possono essere paragonati a 20 anni della vita di un adulto. Molti dati mi spaventano».
Quali in particolare?
C’è un incremento degli atti autolesivi, di disturbi psichici e manifestazioni di disagio. Aumentano i ragazzi che si ritirano dalla società, che non escono dalla loro stanza, che abbandonano la scuola e che non riescono ad andare avanti. Le Neuropsichiatrie stanno lavorando al massimo delle loro risorse e recentemente ho saputo che c’è un boom di consulti psicologici privati. Assistiamo ad un grandissimo malessere».
Detto che i casi di violenza tra minori ci sono sempre stati, così come gli episodi di bullismo. Quanto sono cambiati però i ragazzi di oggi rispetto ad un tempo?
«Oggi già in quinta elementare si vedono i moti e le difficoltà dell’adolescenza, ma sono ancora bambini dal punto di vista dello sviluppo fisico e mentale. C’è un grosso sfasamento che ci pone problemi nuovi e come adulti non siamo abbastanza preparati. Escludo che ci sia più violenza rispetto ad un tempo. I ragazzini di oggi non hanno però un limite alla reattività. A loro manca la nozione di una differenza generazionale, non hanno rispetto nei confronti della generazione precedente. Si comportano allo stesso modo con i coetanei con i quali fanno una rissa e con i genitori o le Forze dell’ordine. Questo è un cambiamento sul quale bisogna riflettere, ma è un comportamento indotto dai messaggi culturali trasmessi dalla società. I ragazzi vedono e assorbono».
Che ruolo giocano i social, spesso utilizzati come vetrine per mostrare anche gli errori?
«I social fanno la loro parte. Sui social sono però gli adulti che scrivono le peggiori cose, che espongono tutti gli aspetti della vita privata, che manifestano le loro ansie di vendetta e di distruzione oltre al disprezzo per il prossimo. Non possiamo pensare quindi che i ragazzi scendano dall’albero della purezza. Stiamo assistendo più che ad un problema criminale, ad un’emergenza sociale, educativa e valoriale».
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La repressione dei reati, gli arresti e le condanne possono bastare come intervento?
«No. Mi rendo conto che certamente ci vuole l’utilizzo degli strumenti penali e come Procura e Tribunale dei Minori lo facciamo e lo dimostrano anche gli ultimi arresti. Questo però non basta. Bisogna arrivare al recupero di una persona. Chi entra nel processo in un modo, ne deve uscire in una situazione migliore. I ragazzi che commettono reati ci dicono: "Noi non siamo dei mostri, non dovete avere paura". E hanno ragione. Non sono dei mostri e visti uno per uno non fanno paura. Talvolta fanno addirittura tenerezza perché se ne vede la vita difficile che stanno affrontando. A maggior ragione non vanno espulsi dalla società, ma devono avere nuove opportunità. Qualcuno farà sicuramente la scelta dell’illegalità come stile di vita, ma oggi la maggior parte dei ragazzi coinvolti nelle nostre indagini questa scelta non l’ha fatta. O almeno non ancora e dobbiamo fare in modo che non la facciano».
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