Milioni di fatture false, arrestati sei bresciani

Lo schema è quello classico, quello per il quale Brescia è cintura nera con il massimo dei dan. Una volta tanto più che emettere fatture per operazioni inesistenti i bresciani raggiunti dall’ennesima inchiesta le annotavano. E ne hanno annotate tante, a giudicare dai sequestri eseguiti dalla Squadra Mobile di Vicenza su ordinanza del giudice del tribunale berico: due milioni e mezzo di euro.
I sigilli non sono l’unica, e nemmeno la più significativa, delle misure eseguite dagli agenti della Polizia di Stato vicentina. Con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, dichiarazione fraudolenta dei redditi, omessa dichiarazione d’Iva sono finiti in carcere Mirko Ghitti, 48enne rovatese di casa a Vicenza, sua moglie Chiara Andrighetto e suo zio Enrico Ghitti che è nato a Rovato 63 anni fa e residente a Coccaglio. In cella anche Luigi Piccinelli, 64enne di Paspardo e il 52enne rovatese Luca Lamberti. Il gip vicentino ha disposto i domiciliari inveve per Mariangela Machina, 52enne di Rovato e imposto l’obbligo di firma e di dimora ad altri quattro indagati di casa nel Bresciano tra Rocandelle e Moniga, Cazzago San Martino e Cortefranca.
Le accuse. La Procura vicentina contesta a Mirko Ghitti e a sua moglie anche la truffa ai danni dello Stato per aver fatto carte false per ottenere dallo Stato i fondi messi a disposizione per far fronte alla pandemia da Covid-19. Ai due, ma anche a Enrico Ghitti inoltre addebita la detenzione di pistole semiautomatiche e di un fucile a canne mozze, mentre a Mirko Ghitti e a Luca Lamberti anche la tentata estorsione ai danni di uno dei sodali poi uscito dall’associazione. Attraverso intercettazioni telefoniche e telematiche, ma anche ambientali e con i supporto degli uomini della Guardia di Finanza patavina, gli uomini guidati dal dirigente Lorenzo Ortensi hanno smantellato un business a tre livelli: cartiere che emettevano fatture per operazioni inesistenti, società che le pagavano e le annotavano (salvo tornare in possesso del loro importo prelevato decurtato del prezzo del disturbo assicurato alla cartiera); e altre società (per lo più scatole vuote) destinate ad accollarsi tutti i debito nei confronti dell’Erario e a portarseli nella tomba. Fino a che il Covid e la pandemia che ha travolto il mondo la retrocessione del denaro investito in fatture false alle società che le pagavano avveniva attraverso prelievi da conti correnti esteri e il rimpatrio garantito da spalloni in viaggio per e da la Repubblica Ceca e la Bulgaria. Poi il Coronavirus ci ha messo lo zampino, gli indagati hanno fatto ricorso a soluzioni domestiche e sono stati pizzicati con assegni sospetti in tasca. L’inizio della fine.
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