Medici e infermieri raccontano la situazione dentro il Civile

Scarseggiano i dispositivi di protezione individuale, stanchezza e tensione sono all'ordine del giorno nella lotta al coronavirus
Dentro il Civile - Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
Dentro il Civile - Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
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«Cominciano a scarseggiare i dispositivi di protezione individuale: le mascherine ffp3 sono rarissime e le teniamo come tesori da usare solo per le procedure che possono creare maggiore esposizione al virus». 
Questa la testimonianza che giunge dall’interno dell’ospedale Civile di Brescia, dai medici impegnati a combattere il coronavirus in quella che è a tutti gli effetti la prima linea, tra terapia intensiva e rianimazione. Ancora una volta, emerge il tema della mancanza di protezioni adeguate per chi lavora: non è certo un caso che proprio medici e infermieri rappresentino il 10% dei contagiati.

«Le mascherine ffp2 sono quelle che utilizziamo routinariamente per l’assistenza ai pazienti, le indossiamo per tutta la durata del turno lavorativo, ci distruggono il naso. Ma ora iniziano a scarseggiare pure queste», proseguono dai reparti.

Il problema non riguarda però solo le mascherine, purtroppo: «Ieri sono finiti persino i camici chirurgici, quelli impermeabili che impediscono che le nostre tutine di cotone si contaminino con il virus e di conseguenza i nostri corpi, esponendoci ad un rischio sempre più inevitabile di contagio». 

«Qualcosa poi è arrivato - aggiunge chi lavora in ospedale -, merito anche di alcune generose donazioni, ma per quanto ancora potremo andare avanti?». La stanchezza e la tensione sono ormai pane quotidiano per chi è impegnato in questa lunga battaglia di cui per ora non si vede la fine.

«La vita in ospedale è sempre dura in questi giorni, qualche volta ci è stata alleggerita da golose manifestazioni di generosità (come pizze e croissant), soprattutto all’inizio, ora sempre più di rado. La mensa è chiusa a causa del rischio di contagio, e anche se nemmeno prima riuscivamo ad andarci, almeno ci arrivavano in reparto i vassoi con i piatti cucinati, un pasto caldo insomma in cui ognuno aveva l’illusione di poter scegliere quello che preferiva tra poche opzioni. Ora invece la mensa è chiusa e ogni giorno ci viene recapitato il cosiddetto “cestino”, uguale per tutti, composto da un’insalata, una vaschetta di affettato che varia a seconda del giorno della settimana, un microformaggino, del pane, un frutto e uno yogurt».

Dettagli, si può pensare, in un contesto drammatico che vede sempre nuovi contagi, nuovi ricoveri e nuovi decessi (oltre 70 soltanto oggi), ma che danno l’idea delle restrizioni a cui si sottopone chi lavora in ospedale, con turni prolungati, riposi saltati e sforzi che si protraggono da settimane.

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