Mani bresciane sulle bombe che dovevano uccidere Maniero
Volevano arrivare fino a Brescia per colpire il loro ex boss. Quel Felice Maniero che dopo averli fatti arrestare tutti a colpi di interrogatori da collaboratore di giustizia, viveva nel quartiere Mompiano sotto una nuova identità. Fino al 18 ottobre 2019 quando viene arrestato per maltrattamenti fisici e psicologici sulla compagna.
Invecchiati, rancorosi, a volte millantatori. «Ma sempre pericolosi». Sono i vecchi volti della nuova mala del Brenta. «Gli elementi raccolti in questa indagine raccontano di un’organizzazione che cerca spasmodicamente di tornare ai fasti del passato senza, fortunatamente, riuscirvi: perché i suoi componenti, pur rimasti certamente molto pericolosi, sono fiaccati dall’età e dalla lunga detenzione e perché manca un vero e proprio leader, quale poteva essere stato Felice Maniero» scrive il gip di Venezia Barbara Lancieri nelle 364 pagine di ordinanza di custodia cautelare che ha portato alla luce la presunta rinascita della mala veneta. Sono 60 gli indagati, 25 le persone finite in carcere, sei ai domiciliari e per sette è stato disposto l’obbligo di firma. Le accuse a vario titolo sono per associazione a delinquere e concorso esterno, detenzione e porto di armi da fuoco, spaccio, estorsione, rapina e usura.
Accanto a volti nuovi, tra cui molte donne, spiccano i big della prima ora. Gilberto Boatto, Paolo Pattarello, Antonio «Marietto» Pandolfo, Gino Causin e Loris Trabujo. Erano tutti con Maniero negli anni Ottanta. Ora puntavano ad eliminarlo.
E in manette è finito pure un bresciano, il 67enne Francesco Rivellini, residente ad Adro. È lui, dicono le carte dell’inchiesta, che, seppur estraneo per il gip all’associazione a delinquere, il primo dicembre 2018 nel parcheggio del Centro commerciale Punto scarpe di Rovato consegna una borsa contenente tre esplosivi nelle mani di Cristian Michielon e a Paolo Pattarello. Quest’ultimi poi la consegnano a Salvatore Lodato il quale, sempre pedinato, viene fermato a Peschiera del Garda dai carabinieri del Ros. E in auto ha le tre bombe. Dopo 19 giorni, Pattarello al telefono con Loris Trabujo dice: «Oh, se non mi bloccavano quella roba... patapam, patapum, patapam, che bello che sarebbe stato. Erano tre».
«Si tratta di un colloquio che gli inquirenti ritengono di interpretare con il proposito di vendetta, a lungo covato dal Pattarello, nei confronti di chi, ai suoi occhi, lo ha tradito, collaborando con la giustizia, ossia Felice Maniero» scrive il gip nell’ordinanza. Faccia d’angelo sapeva di essere in qualche modo nel mirino dei suoi ex fedelissimi. Lo dice lui stesso al gip nel corso dell’interrogatorio in carcere del 21 ottobre 2019, tre giorni dopo l’arresto a Brescia. «La Polizia ha intercettato che mi volevano ammazzare, che mi volevano torturare la figlia. C’è una dichiarazione di un pentito che preferiva uccidere me o anche piuttosto torturare a morte mia figlia sapendo che avrei sofferto a morte» racconta Maniero. Che poi parla anche di Marietto Pandolfo, oggi tra gli indagati, in passato suo storico braccio destro ai tempi della Mala del Brenta e che in quei giorni di ottobre del 2019 era pronto a lasciare il carcere per fine pena. «È lapalissiano che sono in apprensione. Pandolfo è il più pericoloso di tutti. Non so che testa avrà dopo 30 anni passati in carcere».
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