Mancano duemila infermieri e dagli ospedali l’esodo è continuo

La professione è poco attrattiva tanto che a Brescia la sceglie solo uno studente su dieci contro i tre dell’Europa
Un'infermiera al lavoro (foto simbolica)
Un'infermiera al lavoro (foto simbolica)
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Mancano disperatamente infermieri. Ne servirebbero almeno duemila in più solo nel Bresciano per garantire un’adeguata assistenza negli ospedali, nelle Case di riposo e nelle molte realtà socio-assistenziali in cui la presenza infermieristica è fondamentale. Per non parlare del territorio: per la provincia di Brescia Regione Lombardia ha deliberato l’assunzione di 1.500 infermieri, da inserire soprattutto nelle Case di Comunità. Ebbene, ad oggi ne sono stati trovati novecento e, tra questi, sono molti quelli che chiedono di essere trasferiti dai reparti ospedalieri.

«Quelli che girano sono sempre gli stessi» commenta amaramente Stefania Pace, presidente dell'Ordine degli infermieri di Brescia.

I numeri dell'università

Sono sempre meno i giovani che si presentano al test di ammissione al corso di laurea. A fronte di un aumento dei posti, pari al 3.5% su base nazionale, il test di ingresso per infermieristica vede calare del 9,2% il numero degli aspiranti infermieri sia negli atenei statali sia in quelli privati. È il risultato dell’elaborazione dei dati da parte di Angelo Mastrolillo, segretario aggiunto della Conferenza nazionale dei Corsi di laurea professioni sanitarie e docente all’Università di Bologna.

Nelle università bresciane, al momento, il numero delle domande di ammissione è superiore ai posti disponibili. Lo scarto si riduce di anno in anno: c’erano 85 domande in più per l’anno accademico 2020-21, scese a 72 in più l’anno successivo e diventate solo 31 in più per l’anno 2022-2023. Un piccolo conforto, se si considera che a livello nazionale in dodici università su 41 le domande sono inferiori ai posti a bando. Proprio piccolo, perché mediamente il 35% di chi si iscrive o non viene ammesso o non si presenta all’esame. E un altro 35% non porta a termine gli studi fino alla laurea.

Questo significa che meno della metà dei 351 posti programmati per il 2022-2023 si tradurranno effettivamente in posti di lavoro qualificati da inserire nei diversi contesti di cura. La spia di una crisi reale e profonda è la risposta che viene data agli avvisi di assunzione emanati dall’Asst Spedali Civili di Brescia, una delle più grandi realtà pubbliche della Regione. Se, fino a pochi anni fa, ad ogni «chiamata» per un posto a tempo determinato (è la procedura più snella che viene adottata tra un concorso e l’altro) rispondevano almeno duecento infermieri, oggi se ne presentano venti.

I numeri degli ospedali

Questo a fronte di un turn over elevatissimo che ha radici storiche e che la pandemia ha soltanto accentuato anche perché ha «costretto» chi governa la sanità a riaprire le assunzioni bloccate da anni negli ospedali del Sud. Ciò ha comportato un esodo dei molti fuori sede, ritornati nelle loro regioni di origine.

Solo al Civile, azienda in cui lavorano 2.700 infermieri, sono una settantina quelli che mancano, un numero che è cresciuto dallo scorso anno, perché fino al 2021 il turn over era garantito. È la fotografia, proporzionalmente ingigantita, di quello che accade anche negli altri ospedali bresciani, pubblici e privati convenzionati.

Durante la pandemia, grazie ai concorsi pubblici, molti professionisti hanno scelto di lasciare il provato, comprese le Rsa per anziani, e trasferirsi negli ospedali, anche per ragioni economiche. L’effetto, ora, si è sgonfiato. La crisi delle professioni di aiuto non è una categoria filosofica: per aumentare il numero ed evitare la fuga di chi, in ospedale e non solo, deve garantire la copertura dei turni anche per chi non c’è o si ammala perché non ce la fa più, si deve aumentare la retribuzione e riconoscere le competenze specialistiche.

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