Maltrattamenti nella ginnastica: «Ha trasformato le atlete in automi»

Lo scrive il gip che ha interdetto un’istruttrice di ginnastica ritmica di Calcinato. Non potrà allenare per un anno
La palestra di Calcinato in cui lavorava l’allenatrice - Foto © www.giornaledibrescia.it
La palestra di Calcinato in cui lavorava l’allenatrice - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Nessuno ha mai messo in dubbio le sue capacità professionali. Sotto la lente di ingrandimento sono finite le modalità di insegnamento. Sfociate in presunti maltrattamenti. Fisici e psicologici. «L’attività di indagine ha disvelato il modus operandi oppressivo e abusante con il quale l’indagata ha esercitato la sua attività, incurante dello stress psicologico provocato in ragazzine infraquattordicenni, che nonostante il disagio manifestato con il pianto, sono state costantemente insultate, alcune malmenate, tutte punite, solo per non essere state in grado di soddisfare la pretesa dell’allenatrice all’esecuzione perfetta dell’esercizio ginnico o per non avere fattezze fisiche corrispondenti alla sua idea del "fisico da atleta"» scrive il gip del tribunale di Brescia Francesca Grassani nelle 49 pagine di ordinanza di misura interdittiva nei confronti di Stefania Fogliata, 31enne istruttrice bresciana di ginnastica ritmica che per un anno non potrà allenare su tutto il territorio nazionale.

Il provvedimento è stato eseguito ieri mattina dagli agenti della Squadra mobile della Questura che hanno condotto l’indagine, coordinata dal pubblico ministero Alessio Bernardi, e nata a fine estate scorsa dalla denuncia della madre di una ginnasta che frequentava l’Accademia Nemesi con sede a Calcinato, la società sportiva costituita nel 2016 da Stefania Fogliata. La donna è accusata di maltrattamenti aggravati dalla giovane età delle persone offese, con condotte che sarebbero andate avanti dal 2017 ad oggi. Otto le presunte vittime che hanno tra i 10 e i 14 anni.

La ricostruzione

«Ha trasformato le atlete in automi: dovevano accettare supinamente critiche feroci, insulti gratuiti, invasioni indebite della sfera privata, aggressioni fisiche e nel contempo, essere disposte a rispondere con gratitudine agli apprezzamenti dell’allenatrice» è la ricostruzione degli inquirenti. Pur ricordando che «non si discute del fatto che l’ambiente agonistico sia dotato di regole e che richieda disciplina e rigore», per chi indaga siamo davanti ad un «quotidiano stillicidio di improperi e umiliazioni ai quali si sono sommate le percosse. Una combinazione di mortificazioni alla quale si alternavano gli appagamenti, con l’effetto di disorientare e destabilizzare le atlete».

Si parla di spintoni, tirate per i capelli, strattonamenti o schiaffi in pedana. «Trovava ogni scusa per punirle, facendo eseguire esercizi eccessivi fino allo sfinimento. Le minacciava di schiaffi o di far loro passare le pene dell’inferno, le umiliava costantemente. Adottava un regime di alimentazione rigido. Tutte condotte che umiliavano e frustravano le giovani atlete, tanto da essere completamente plagiate e soggiogate e costrette ad abbandonare in tempi diversi l’Accademia e la ginnastica nonostante fossero tutte ginnaste promettenti e in particolare una ragazza, pluri iridata e proiettata alle Olimpiadi» si legge nell’ordinanza.

Lo «stanzino»

Nel mirino dell’allenatrice, secondo quanto ricostruito, c’era infatti soprattutto una 16enne, già campionessa juniores, che ha improvvisamente lasciato la ginnastica ritmica. Il suo incubo era diventato lo «stanzino» della palestra di Calcinato, presunto luogo di aggressioni fisiche e verbali. «La minore - scrive il gip - specificava che una volta all’interno dello stanzino, Fogliata la prendeva per il naso, per le orecchie, le dava calci nel sedere e sberle in faccia». In una chat agli atti, l’istruttrice scriveva alla ragazzina «di sfruttare la quarantena Covid per non mangiare e di riempirsi la serata di impegni per evitare di avere il tempo di pensare al cibo». Tutto ciò «aveva portato la giovanissima - si legge - a pesarsi più volte al giorno, prima e dopo i pasti, arrivando a "calcolare prima di mangiare le calorie del cibo contenute nel piatto"».

C’è chi racconta di aver visto «molte volte» l’allenatrice trascinare con forza una atleta nello stanzino da cui poi usciva «disperata in lacrime con le manate rosse in faccia per poi tornare in pedana ad allenarsi senza proferire parola». Una delle presunte vittime agli inquirenti racconta: «Mi umiliava, mi diceva che non andavo da nessuna parte, praticamente piangevo ogni giorno, certe volte ti tirava gli attrezzi addosso, tipo le clavette». Un’altra atleta che ha lasciato l’Accademia fa mettere a verbale durante le indagini: «Ero arrivata al limite, continuava a prendermi di mira con continui insulti. Veramente avevo paura di andare in palestra».

L’ossessione del peso

Sentita in procura il 17 novembre, Emanuela Maccarani, direttore tecnico della Nazionale italiana di ginnastica ritmica, al pm Bernardi che la interroga come persona informata sui fatti, ammette: «Non è sicuramente normale che più atlete lascino una scuola all’improvviso». Stefania Fogliata, che dovrà rimanere un anno lontano dalle palestre di tutta Italia, aveva la fissa del fisico. E le ragazze ritenute fuori forma venivano insultate: le avrebbe chiamate «maiale» o «goblin».

«Emerge l’uso sistematico della violenza fisica e morale come cifra distintiva del trattamento ordinario delle giovani ginnaste» secondo il gip Francesca Grassani. Che guarda però anche alle famiglie delle ragazzine. «Certamente - è un passaggio dell’ordinanza - la maturazione della decisione di denunciare da parte delle persone offese non è stata favorita dalla tolleranza dei genitori di fronte alle urla e agli sbalzi d’umore dell’allenatrice e dall’ambiguità dei suoi atteggiamenti».

Nessuna delle atlete ha messo in dubbio le capacità di Stefania Fogliata, «un giudizio positivo sulle competenze tecniche dell’indagata formulato all’unisono dalle atlete», ma ad un certo punto tante ragazzine dell’Accademia di Calcinato hanno detto basta. «A causa - viene ipotizzato - dell’esasperazione per le condotte dell’indagata, vissute come ingiuste non perché disallineate rispetto alle aspettative e alle ambizioni personali delle allieve, ma perché percepite come esclusivamente punitive e umilianti».

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