Ludopatia «miracolosa» benedetti i nonni

Benedetti i nostri figli, fonti inesauribili di gioia e preoccupazioni, causa ed effetto di tali stress da far drizzare i capelli in testa. Crescono sempre più unici, dentro famiglie triangolari che sembrano incarnare la sequenza di Fibonacci, dove il tre è la somma dei due numeri precedenti.
Nascendo ci hanno rovesciato addosso la vita, spesso arrivati come ospiti inattesi «entrati di spighetta, si sono seduti di chiatto». Diventando genitori abbiamo imparato a condividere il nostro tempo e il nostro tutto, dal primo cambio di pannolino alle notti insonni, provati da orecchioni, pidocchi e lune di traverso.
Le mamme hanno raccattato montagne di panni dentro camerette dove il disordine avrebbe potuto ispirare le parole dell’androide di Blade Runner: «Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi». Si sono trasformati in adolescenti con ascelle e scarpe puzzolenti, ondivaghi come un mutuo a tasso variabile, ai quali abbiamo allineato i denti in costosissimi sorrisi, mentre svenati dalle ripetizioni minacciavamo ritorsioni per ulteriori insufficienze in matematica o latino.
Poi molti hanno provato la prostrazione di una bocciatura e l’impareggiabile soddisfazione di ordinare una corona d’alloro guarnita di rose e peperoncini il giorno della loro laurea. I figli come il gioco creano «dipendenza», quando crescono aumenta il desiderio del piacere che si provava accompagnandoli all’asilo tenendoli per mano, o al campo da tennis per vederli giocare meglio di noi. Invece pare insorga fra i nonni una «ludopatia miracolosa» che spinge a giocare anche quelli che avevano privilegiato la carriera o le necessità materiali, centellinando la presenza.
Gli stessi ingrigendo scoprono un nuovo mondo affettivo abitato da bambole e bambini con cui condividere finti pasticcini, piattini e tazzine ricolme d’acqua. Una delicatezza terapeutica che allontana entrambi da tablet, televisori e telefonini, avvicina le generazioni con gessetti e pentoline saldando i legami familiari. Immanuel Kant sosteneva che «da un legno storto com’è quello di cui è fatto l’uomo non si può ricavare nulla di perfettamente dritto», per questo i nonni hanno un compito educativo complementare irrinunciabile.
Nella nostra società storta la continuità si realizza anche attraverso il loro amorevole parteggiare nei momenti delle prime delusioni d’amore, nei racconti di una storia che tocca da parte a parte l’origine di ogni nipote. Benedetti i nostri nonni che sanno insegnare ad apparecchiare il vecchio tavolo con una tovaglia nuova.
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