L’ombra del piano organizzato dietro gli scontri dentro e fuori il Rigamonti

Il giorno dopo la guerriglia di Mompiano chi c’era assicura. «È andata bene. Poteva scapparci il morto». Basti pensare alle pietre, grandi come tegole dei tetti, lanciate alla cieca dalla strada verso il parcheggio interno al Rigamonti. Hanno colpito auto e sfiorato quei tifosi - veri e non i teppisti travestiti da supporter - costretti a rimanere dentro lo stadio fino a tardi per evitare di finire in mezzo agli scontri.
Il bilancio
La conta dei danni è ancora da ultimare: tra cancellate sfondate, sanitari dei bagni divelti, tubature distrutte, la vetrata del negozio del Brescia Calcio segnata da una sassata e reti piegate, il Rigamonti necessiterà di interventi importanti. E poi c’è l’esterno dell’impianto. Le panchine in pietra vicino alla piscina sono state letteralmente frantumate con i pezzi usati come armi. Vanno aggiunti cartelli stradali piegati e i cassonetti ormai da buttare via. Il bollettino medico della notte di follia post retrocessione in Serie C del Brescia parla invece di una decina di agenti di Polizia feriti, tra cui uno più grave raggiunto proprio da un sasso in testa. Erano in 250 gli uomini e le donne delle forze dell’ordine schierati con la consapevolezza che sarebbe potuta essere una serata ad elevato rischio di disordini. E così è stato. Probabilmente era tutto programmato, come ipotizzano gli inquirenti.
Il piano
Gli incidenti avrebbero seguito una strategia che aveva nel lancio dei fumogeni in campo solo il primo step. La pioggia di torce rosse, con il Brescia in attacco a un minuto e mezzo dalla fine nel disperato tentativo di segnare un gol, ha dato il via alla contestazione. Facendo scattare in campo decine di poliziotti in tenuta antisommossa per contenere gli ultrà della Curva Nord che hanno invaso il terreno di gioco. Ed è in questa fase che chi indaga ipotizza ci sia stata una scelta studiata. Perché mentre un gruppo scendeva sul prato di Mompiano con le aste delle bandiere in mano come bastoni, e un «tifoso» addirittura con un coltello, un secondo gruppo usciva dallo stadio sfruttando la presenza massiccia delle forze dell’ordine in campo e quindi la strada libera fuori dal Rigamonti per una vera e propria caccia all’uomo.
I fumogeni sul prato hanno dunque catalizzato l’attenzione di tutti e nessuno ha pensato a quanto poteva succedere fuori. Dove nei pressi del parcheggio della tribuna sono iniziati i primi disordini e il lancio di torce, una delle quali ha incendiato l’auto del difensore del Brescia Huard. Inquietante il video che riprende un uomo che a volto scoperto forza con altri il cancello del parcheggio, poi si dirige verso il blindato della Polizia che nel frattempo cerca di fare da scudo, apre la portiera e comincia a colpire con pugni e cinghiate gli agenti all’interno. Per poi allontanarsi indisturbato.
L’indagine
La Procura aspetta gli atti e le relazioni e nel frattempo ipotizza i reati di devastazione e lesioni. Il Brescia Calcio ha già fatto sapere di volersi costituire parte civile negli eventuali procedimenti contro i responsabili delle violenze andate in scena. Sempre nell’ottica del «piano organizzato» va ricordato che entrambe le tifoserie giovedì sera avevano dei rinforzi: in Curva Nord c’erano ultrà del Milan e del Catanzaro in virtù del gemellaggio, e tra quelli del Cosenza, tifosi arrivati invece da Bergamo. Presenze, da una parte e dall’altra, già annunciate nei giorni precedenti la sfida. Come siano potuti entrare allo stadio decine di fumogeni, oltre al coltello impugnato dal teppista che ha minacciato un giocatore, resta uno dei punti da chiarire nella serata di follia. Sei ultrà bresciani sono stati fermati nella notte tra giovedì e venerdì, ma poi rilasciati per mancanza di elementi sufficienti a giustificare il provvedimento. La Digos della Questura sta ricostruendo quanto accaduto dentro e fuori il Rigamonti attraverso i video. Quelli registrati dalle telecamere di sicurezze, ma anche quelli delle tv e i filmati finiti in rete. Scene di follia che a Brescia non si vedevano da anni. E delle quali la città avrebbe volentieri fatto a meno.
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