L’ex caserma diventa casa per chi cerca un riscatto

A volte la dignità ha la forma di vecchie brande da soldati. E di un angolo di caserma dismessa ripulito, fatto casa per chi, al tempo del Covid, trova più porte chiuse che mai. Storie diverse quelle di tre bresciani che la strada ha unito sotto un tetto un tempo «in divisa» che ora è uno spazio sospeso. Come le loro vite. E quella del cane che è con loro, ribattezzato a tema «generale Cioli».
Esistenze che questi mesi di pandemia e incertezza hanno avvolto nel silenzio, fino a quando uno sbuffo di fumo non ha portato da quelle parti una squadra dei Vigili del Fuoco. Grande la sorpresa in questi ultimi suscitata da quanto i tre «inquilini» avevano organizzato nell’ex caserma Papa, affacciata su via Oberdan. A chi si addentra nel dedalo di muri sbrecciati, resti di arredo, rovi e stanzoni Anni ’30, si svela un angolo raccolto. «Il nostro appartamento» spiegano loro, in un sorriso. Di qua una dispensa, di là un acquaio, un tavolo, luci a batteria. Un controsoffitto per preservare il calore, recuperato con lungo lavoro da un’altra ala e rimontato «senza attrezzi», rivelano con orgoglio. Poco oltre una camera da letto e un bagno, di fortuna ma funzionale.
Il meccanico. Tra i vigili del fuoco è partita una catena solidale, fatta di vestiti, cibo, una colletta fra colleghi. «Sono straordinari, lo scriva» insiste Fabio, 42 anni («e 26 di contributi, ho sempre lavorato dal ’93 a marzo»), una bimba che vive con la ex compagna «che mi ha aiutato, con coperte e altro; io faccio quel che posso per garantire loro qualche euro. Fino a settembre - spiega - ero dipendente, come meccanico. Poi mi sono messo in proprio. Un piccolo investimento e poi il lockdown. Le spese sono rimaste, i clienti no».
Prima c’è stata l’accoglienza di un amico, «ma l’ospite è come il pesce: dopo un po’ puzza. Ma non recrimino. Forse avrei fatto lo stesso». Sono seguite settimane in strada, «in stazione sono stato anche aggredito». E poi la Papa. «Ce l’ha fatta scoprire un amico» spiega Paolo, nome di fantasia per sua scelta, 64 anni, operaio, una separazione e qualche trascorso per strada, da 18 mesi il reddito di cittadinanza («una boccata di ossigeno»).
La prospettiva è quella della pensione, con un’ultima opportunità di lavoro. «Basterebbe quello» aggiunge Gian Battista, 60 anni, la storia con più cicatrici, con un passato da muratore alternato alla strada «e al carcere», non ne fa mistero, oltre a una recente vedovanza. Ma ha lo stesso mantra dei compagni: «La dignità». É per loro come una parola d’ordine, a proposito di caserma. Della quale si ergono a custodi: «La stiamo ripulendo. Qui siamo rimasti solo noi. Andate a vedere che macello ha lasciato chi c’era prima. Ma noi non siamo lazzaroni. Anzi, chiediamo solo un lavoro».
Fabio lo aveva pure trovato: «Il Covid mi ha fregato due volte. Dovevo iniziare a ottobre in una cooperativa, ma con la seconda ondata si è bloccato tutto». Anche una doccia è più di un’occasione di igiene personale, è un modo per «vivere, anche se sei morto dentro» accenna Paolo, intonando Vasco. «Quando vedevo persone per strada mi chiedevo "com’è possibile che nessuno dia una mano?" - commenta Fabio - poi l’ho scoperto sulla mia pelle. Gli amici all’inizio, poi basta. Tanti rischiano di finire come noi» è il monito amaro. E le strutture di sostegno? «C’è sempre qualcuno davanti a te» è la percezione ribadita, giusta o sbagliata che sia.
«Come a casa». «Quest’esperienza è dura anche a livello di nervi - conclude Fabio -. La notte il cervello non si ferma, sono tornato a pregare. É una fortuna che la depressione non ci vinca. Essere insieme per noi è diventato fondamentale: c’è questo posto da tenere, ci sosteniamo l’un l’altro. Ieri sera, ci siamo messi qui a parlare. Mi pareva di essere a casa. E invece ero in caserma». Ma chissà che questa naja fuori ordinanza non possa finire presto. Con la prospettiva di un impiego. E di nuove speranze.
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