Lech Walesa: «Se in Russia non si cambia il sistema, ci sarà sempre un Putin»

Lech Walesa è un’icona. Un simbolo. Un uomo che ha fatto la storia. Lech Walesa sa ancora mobilitare centinaia di persone, tante erano quelle che nella serata di ieri hanno riempito l’Aula Magna del Paolo VI, il salone accanto e i corridoi d’ingresso per ascoltare il fondatore di Solidarnosc, Nobel per la Pace e presidente della sua Polonia dal 1990 al 1995.
Walesa non ha parlato subito della guerra in Ucraina. Ha scelto un percorso più articolato, con parole indirizzate soprattutto ai giovani.
La nascita di Solidarnosc
Nell’estate del 1980 Walesa, elettricista e sindacalista, guida il primo grande sciopero di massa nei cantieri navali di Danzica in Polonia. L’agitazione si estende rapidamente a tutto il resto del paese. In settembre il governo comunista firma un accordo con Walesa con cui riconosce alla sua organizzazione il diritto alla libertà di associazione. Nasce «Solidarnosc», l’associazione sindacale indipendente e autogestita. Era iniziato un esperimento senza precedenti: «Senza versare sangue, i polacchi hanno sconfitto il comunismo, un sistema che non stava più al passo con lo sviluppo della civiltà - ha detto ieri -. Avevamo gli occhi del mondo su di noi e il mondo vide le foto del nostro cantiere, le immagini del cancello con l’immagine della Madonna e con il ritratto di Wojtyla, ora Santo Giovanni Paolo II. Vennero descritte le nostre liturgie all’interno del cantiere, vennero riportate le nostre preghiere e migliaia di immagini delle nostre confessioni sul selciato della fabbrica».
Il ruolo di Wojtyla
L’impossibile e il possibile. Lech Walesa ha iniziato un percorso riuscendo, con il sostegno di molti, in quello che sembrava impossibile: «Il comunismo sarebbe forse caduto lo stesso, ma molto dopo e con molte più vittime. La storia ce lo ha insegnato. Senza Wojtyla, però, non saremmo mai riusciti. Vi basti sapere che già vent’anni prima della sua elezione a Papa avevo iniziato a raccogliere persone per rovesciare il sistema comunista. Ne avevo coinvolte dieci, due delle quali erano spie - ha detto -. Dopo, migliaia si sono uniti a noi, anche i comunisti iniziavano a fare il segno della croce, sostituendo il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo con i numeri uno, due e tre. Ma poco importa, avevamo capito che non erano veri comunisti, ma solo un’apparenza e questo ci ha permesso di abbandonare le nostre paure e il terrore che nutrivamo nei loro confronti. Il Papa portava speranza: ci mobilitò alla preghiera e alla lotta non violenta. Senza di lui non saremmo arrivati alla vittoria che significa dare la possibilità alle nuove generazioni, dopo la dura fase dei due blocchi contrapposti, di costruire un mondo diverso, più giusto, più solidale. Senza la fede non saremmo stati capaci di sopportare il peso di una lotta così grande».
L'invito ai valori comuni
E ora? «Come sono riuscito io a raggiungere i miei obiettivi, sono certo che ce la faranno anche le nuove generazioni. Ma dobbiamo partire da valori comuni, dall’analisi di quello che riteniamo sia il sistema economico più equo, dallo sforzo per uscire da demagogia e populismo. Il vecchio mondo è crollato, il nuovo non è ancora nato, ma la demagogia prevale e ci fa bruciare i nostri valori».
Buttiglione della Pontificia Accademia Scienze sociali, seduto accanto a Walesa, ha ricordato che «abbiamo ottenuto grandi vittorie ma alla fine siamo stati sconfitti».
Sulla guerra in Ucraina
Il Nobel per la Pace non poteva che suggerire un percorso non violento per porre fine alla guerra in Ucraina. Lo sostiene con forza, malgrado la taglia di 5 milioni che la Russia ha messo sulla sua testa. «L’idea di cambiamento non viene colta da nessuno: io non credevo che si potesse sconfiggere il comunismo, ma l’accesso alle informazioni che giungevano dal resto dell’Europa ha contribuito ad accelerare questo processo - ha affermato -. Ecco, oggi noi dobbiamo diffondere i nostri valori e informare il popolo russo su ciò che davvero conta. I russi non sono cattivi e in questa guerra vengono uccisi anche loro, soffrono. Vivono in un sistema politico sbagliato e impostato male. Se Putin avesse avuto solo due mandati, non avrebbe costruito la dittatura. Se il sistema non cambia, dopo Putin ci sarà un altro dittatore. È nostro dovere far riscoprire ai russi l’autenticità dei valori della fede e ritrovare la loro dignità. Solo così vinceremo, ricordando che il popolo non è un elemento statico, ma un processo».
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