Le zucche e la minestra

Quest’anno ho raccolto undici zucche, un risultato che, senza voler peccare di eccessiva e stucchevole enfasi, definirei straordinario. Ma la mia appagante soddisfazione, anche in questo caso detto con pacata umiltà, deriva dal fatto che tutti e undici gli esemplari (ripeto: tutti e undici gli esemplari) sono risultati di qualità eccelsa. Merito certamente di un sole che le ha baciate con entusiasmo, ma anche dell’ortolano che le ha accudite e coccolate con amorevole dedizione. Perché con le zucche non si scherza, o meglio, non si scherzetta e non si dolcetta.
Come ogni anno rieccoci qua, la serata del tormento riprende corpo, il campanello che continua a suonare, bambini che al citofono di sonnecchianti nati nel secolo passato chiedono dolcetto o scherzetto e se va bene dall’altra parte non capiscono la domanda. Io ho risolto la questione staccando il campanello. Come mia personale resistenza, la sera di Halloween mangio una bella tazza di minestrone arricchito da una zucca del mio orto. Zucca gustosa che conclude la sua esistenza nel modo più appropriato. Non come quell’orrendo esemplare arancione che è simbolo della pacchiana notte degli spiriti. Quella l’ho messa alla prova è l’ho assaggiata, per vedere se c’è sostanza. Ovviamente non c’è.
Della famiglia delle cucurbite pepo, per poter essere intagliata con facilità, è acquosa, la polpa inconsistente da cotta, un sapore che definirei inutile, finanche nauseabondo. E allora mettiamola pure sui balconi con un lumino dentro, ma ricordiamo che le nostre zucche sono ben’altre.
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