L’ascia del maringù, il genio del mugüt

Un gruppo di sedicenti (le immagino seducenti) s-cète che leggono puntuali (le spero benevolenti) questa rubrica, ha preso lo spunto dal testo di domenica scorsa per segnalare alcuni termini dialettali di antichi mestieri. Termini che raccontano - come spesso accade nel dialetto bresciano - di radici che affondano in terreni molto lontani tra loro.
C’è il maringù, cioè il falegname. Uno studioso come il Sanga collega l’appellativo all’antico francese marenc, che significa marino. I maringù quindi sarebbero stati in origine dei maestri d’ascia. Risalgono invece al mondo latino le radici del famèi, il bracciante che nelle cascine era destinato al lavoro nei campi e in stalla.
Il famulus infatti era già duemila anni fa l’aiutante, l’uomo di fatica, il famiglio. Ci porta poi in centro Europa il termine bechér, macellaio. Se ne trova una risonanza evidente nel francese boucher o nell’inglese butcher. Tutti hanno al fondo la radice bek, che è il becco, il caprone, il maschio cornuto che fa capolino anche nell’alpino stambèc.
Storia a sé fa il magüt, il manovale che nei cantieri porta calsìna e quadrèi ai muratori sui ponteggi. Gabriele Rosa lo lega addirittura «al persiano magod, grande genio». Più semplicemente al genio... civile si richiama invece chi ricorda che nel medioevo i registri della Fabbrica del Duomo di Milano riportavano l’elenco delle maestranze indicando accanto al primo nome la qualifica magister carpentarius (mastro carpentiere) e a tutti i successivi magister ut supra (mastro come sopra). In abbreviazione magut. La magia della normalità.
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