La seta e il paziente lavoro delle donne

«L’elemento più affine alle donne è la seta. Le rende simili la morbidezza scivolosa e resistente, il tocco fresco e sensuale»
Donna che lavora sui bachi da seta - © www.giornaledibrescia.it
Donna che lavora sui bachi da seta - © www.giornaledibrescia.it
AA

Mi piacerebbe insegnare agli uomini che l’elemento più affine alle donne è la seta. Le rende simili la morbidezza scivolosa e resistente, il tocco fresco e sensuale, ma soprattutto la medesima naturale facilità di essere imperfette. I veli e i preziosi broccati stranamente sono collegati alle donne del mondo agricolo, alle quali, per consuetudine, veniva affidata la coltivazione dei bachi da seta. Da quel lavoro esse traevano somme modeste, di cui potevano disporre per acquistare terraglie o biancheria per il corredo delle figlie.

Annabella racconta che alla fine degli anni Sessanta a Jesi, nelle Marche, erano ancora attivi 17 setifici, le cui maestranze erano composte in prevalenza da donne. I maschi erano i padroni o i capireparto. Anche la domestica che andò a servizio in casa loro aveva lavorato in un setificio. Chissà come e da chi aveva imparato a memoria il brano della divina commedia su Pia de Tolomei e, ripetendola ai bambini, sul finale si commuoveva sempre. Mentre le braccianti nutrivano i bachi raccogliendo foglie di gelso, nelle filande molte operaie lavoravano con le mani immerse nell'acqua bollente. Con le dita deturpate, dipanavano i preziosi fili dei bozzoli che ritorti e tessuti diventavano organzino, raso o velluto, destinati a una facoltosa clientela. Sempre donne anche nella Real Fabbrica di Caserta, voluta da Re Ferdinando. Con i tessuti di San Leucio furono realizzati preziosi tendaggi, rivestiti letti e poltrone, tappezzate le sale della Reggia e dei palazzi borbonici. La stessa seta riveste ancora oggi il Vaticano, il Quirinale e lo studio ovale della Casa Bianca. Idem per il palazzo reale di Edimburgo e le colorate bandiere di Buckingham palace.

Anche la Franciacorta è stata una terra operosa nella produzione di filati pregiati. Le nostre nonne ricordavano che quasi tutti i solai erano ricoperti di rami di gelso e di graticci per l'allevamento dei bozzoli. L'economia serica italiana, retta da un esercito invisibile di operaie, molte delle quali ancora bambine, è quasi scomparsa. La nostra via della seta è stata bagnata dal sudore e dalle lacrime di tante filandére. Ognuna di loro ha aggiunto un punto all’arazzo variopinto dell’autonomia femminile di cui oggi altre donne possono godere. I filatoi chiusi cagionano un’amara nostalgia, forse simile a quella provata di Hervè Joncour, il mercante di bachi protagonista del libro «Seta» di Alessandro Baricco. Ma questa è un’altra storia legata «all’eterno femminino».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia