La pietas intima del grisantémo

La memoria dei defunti risuona nelle parole
Crisantemo - © www.giornaledibrescia.it
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I giorni dedicati ai morti sono tra quelli che più profondamente risuonano nell’animo della nostra terra (e fors’anche della Terra tutta). E nella stessa parlata dei nostri nonni riecheggiano qua e là segnali di questa radicata pietas nutrita nei confronti di chi è defunto. Alcuni di questi segnali strappano un sorriso.

Penso ad esempio alla deformazione che porta noi bresciani a chiamare grisantémi i fiori per i cimiteri. Deformazione che fa sì che il nome originario perda tutta la sua lucentezza («crisantemo» è composto dalle radici greche krisòs e ànthemon e letteralmente significa «fiore d’oro»): con quel «gr» iniziale assume invece una venatura grigia e greve. Altri segnali li trovo tenerissimi. Ad esempio l’antica usanza di riferirsi al parente defunto come al poarì de me pàder o alla poarìna de me màder. Il mio povero padre, la mia povera madre.

Attenzione però: l’aggettivo usato non è poarèt (che indica piuttosto un «poveraccio» indigente e malmesso) ma poarì, che fa invece riferimento alla povertà di una condizione, all’essere defunto. Interessantissimo anche il ricorso ai termini pàder e màder, il cui uso sottolinea il rispetto dovuto al ruolo genitoriale quando se ne parla in pubblico.

Nell’intimità della famiglia, invece, i genitori erano piuttosto appellati come bubà e màma. Una alternanza di sentimento che troviamo pari pari nell’antico greco (pàter/pàpas), in latino (pàter/pàpa), in inglese (father/dad o anche papa) e in chissà quante lingue. Una traccia indelebile ne resta in quell’«Abbà» aramaico col quale Gesù ci insegna a rivolgerci a Dio. Con intimità filiale.

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