La geofisica bresciana che gestisce le missioni Usa in Antartide

La 36enne Enrica Quartini vive da 13 anni negli Stati Uniti. «Ma il mio cuore resta dove vive la mia famiglia»
Enrica Quartini durante una spedizione in Antartide - © www.giornaledibrescia.it
Enrica Quartini durante una spedizione in Antartide - © www.giornaledibrescia.it
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Enrica Quartini a 36 anni gestisce i progetti di ricerca in Antartide e al Circolo Polare Artico del gruppo di astrobiologia della Cornell University, ateneo Ivy League nello Stato di New York. Per il team che studia le cavità oceaniche sotto il ghiaccio si occupa di pianificare le missioni fin nei minimi dettagli, gestendo tempi e fondi, ma - soprattutto - i componenti delle spedizioni cui lei stessa prende parte. «Perché quando si trascorrono settimane di quasi totale isolamento fra i ghiacci, il fattore umano conta tantissimo» spiega.

Bresciana doc con un dottorato di ricerca in geofisica alla University of Texas, da tredici anni vive e lavora fra gli Usa e gli angoli più remoti del globo. Sempre con la sacca pronta, ma il cuore radicato nella città dove ha lasciato la famiglia. «Sono perennemente divisa - confessa - fra un lavoro che amo profondamente e che mi dà stimoli quotidiani e la città dove sono nata e dove vivono le mie persone». Come papà e mamma che, fin da bambina, hanno coltivato la sua curiosità per il mondo organizzando piccole spedizioni in collina a Urago Mella alla ricerca di «uova di dinosauro».

La formazione

«Mi hanno sempre spronato ad osservare i paesaggi e a chiedermi come fossero nate le montagne, i laghi, le pianure e i deserti. Dopo il diploma al Leonardo non ho avuto esitazioni e ho scelto l’Università di Bologna per la laurea triennale in geologia, seguita dalla magistrale in rischio sismico vulcanico. A quella magistrale eravamo due sole iscritte, tanto che il corso poi ha chiuso» ride. A 23 anni l’opportunità di uno scambio «Overseas» di dieci mesi la porta ad Austin, in Texas, dove la sua carriera decolla.

«Sono partita il 14 agosto 2009 ed è stato uno sconvolgimento totale - racconta - . L’America mi pareva bruttissima e ho vissuto male anche l’impatto con la lingua. Credevano fossi timida. Invece le opinioni non mi mancavano, solo non sapevo come esprimerle. Allora mi sono circondata di amici e coinquilini americani, e mi sono imbottita di serie tv. Un po’ del mio inglese lo devo ad "How I Met Your Mother"».

L'esperienza

La bresciana durante una missione - © www.giornaledibrescia.it
La bresciana durante una missione - © www.giornaledibrescia.it

Al termine dello scambio, Enrica sceglie di restare ad Austin per un progetto di ricerca sui depositi di ghiaccio sepolti alle medie latitudini di Marte. L’occasione la avvicina al team che, utilizzando rilevamenti radar da aereo, studia i ghiacci dell’Antartide. E proprio la «radio glaciology» diventa il fulcro del suo dottorato sui vulcani del West Antarctica. «A 26 anni - racconta - organizzavo le spedizioni dall’inizio alla fine, dai piani di volo e i rapporti con l’aviazione fino alla pianificazione di eventuali scenari d’emergenza. Negli Stati Uniti, se manifesti entusiasmo e voglia di fare, nessuno ha problemi a responsabilizzarti».

«A finire il dottorato ci ho messo sette anni. Ho consegnato la tesi prima di imbarcarmi su una spaccaghiaccio ed ero nel mezzo dell’oceano quando ho saputo di aver finalmente finito. Nel frattempo ci sono state cinque spedizione in Antartide, ma è stato un sollievo concludere il percorso accademico». Immediata arriva l’assunzione come polar research coordinator all’Istituto di Geofisica della University of Texas. «Ma poi sono finiti i fondi e ho accettato un’offerta di lavoro in Georgia. Il mio visto non mi avrebbe consentito un periodo di inattività e al gruppo di astrobiologia e robotica della dr.ssa Britney Schmidt serviva un project manager per le missioni in Antartide. Così sono finita ad Atlanta».

Calamari e robot

Enrica e il suo team sono le mani e le menti di Icefin, un robot subacqueo unico nel suo genere, che esplora le cavità oceaniche sotto i ghiacci, sia quelli marini che il pack. «Fra gli obiettivi - prova a semplificare la ricercatrice bresciana - c’è quello di capire come si potrebbe sviluppare una tecnologia da utilizzare per studiare la biologia di Europa, uno dei satelliti di Giove. Per le sue caratteristiche è considerato dalla comunità astrobiologica il luogo dove si potrebbe trovare una forma di vita complessa, come un calamaro». E alle tecnologie necessarie per trovare quel calamaro lavora appunto Enrica che, a breve, lascerà la base di Atlanta per seguire la sua capa a Ithaca, nello stato di New York, dove trasferiranno il loro laboratorio e i loro studi in seno alla prestigiosa Cornell University.

Condizioni estreme

Ma come si affronta una missione in condizioni estreme? «Bisogna sapersi adattare. Ho fatto diversi campi in tenda, dove per settimane sei senza doccia. Il freddo è una componente critica, ma col tempo ognuno impara le sue strategie per contrastarlo. Forse il fattore più difficile da affrontare è l’isolamento. Capita che in missione non ci sia possibilità di comunicare, perché internet spesso non c’è e le trasmissioni sono difficili. È capitato di non sentire il mio fidanzato e la famiglia per settimane. Loro hanno imparato che nessuna nuova è buona nuova». Il sogno di Enrica resta, però, quello di tornare un giorno in Italia. «Il mio obiettivo non è vivere e fare carriera negli Stati Uniti godendomi l’Italia solo nelle vacanze. Ciò non potrebbe essere più lontano dalla realtà... Vorrei trovare il modo di portare la mia esperienza di programmatrice di missioni e ricerca qui. Sarebbe bellissimo lavorare nella gestione e pianificazione delle emergenze ambientali, per esempio, tema importantissimo dato che l’Italia è un Paese altamente sismico e vulcanico, afflitto non solo da alluvioni e cedimenti di versante, ma anche dai rischi sul territorio legati a terremoti ed eruzioni».

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