La controversa vicenda dell'uomo preistorico fossile di Castenedolo

Dal 1860 e per un secolo, grazie ai ritrovamenti di Ragazzoni, gli scienziati hanno discusso molto su una vicenda che pochi bresciani conoscono
Alcuni fossili ritrovati a Castenedolo - Foto Claudio Filippini
Alcuni fossili ritrovati a Castenedolo - Foto Claudio Filippini
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Nell’800, per 20 anni, Castenedolo è stato uno dei centri della paleontologia europea. A pochi chilometri dalla città di Brescia, sulla collina - un tempo ricoperta da una selva rigogliosa che contava tantissimi castagni (da qui il nome del paese) e ora punteggiata di vigneti - arrivavano i più grandi esperti di geologia e archeologia. Studiosi da tutta Italia e dall’estero, determinati a far luce su una scoperta elettrizzante e al tempo stesso misteriosa: i resti dell’uomo pliocenico di Castenedolo, rinvenuti dal maestro Giuseppe Ragazzoni.

Per anni la comunità scientifica ha dibattuto, anche con toni accesi: se confermata la datazione dei reperti, avrebbe potuto essere un ritrovamente straordinario. Sgomberiamo subito il campo: il sogno si è infranto cento anni dopo ed è doveroso dire fin da subito che è stata una sbandata scientifica, per quanto affascinante e a tratti romantica. Anche se qualcuno si ostina a ritenerla ancora aperta.

La controversa storia che ci sta dietro, purtroppo dimenticata e ormai sconosciuta ai più, merita però di essere raccontata. Lo ha fatto nel dettaglio lo studioso Paolo Schirolli nel suo libro «Giuseppe Ragazzoni. Il maestro della geologia bresciana» per il Museo delle Scienze naturali di Brescia.

Chi era Giuseppe Ragazzoni

Iniziamo dal protagonista indiscusso della vicenda. Nato a Brescia il 19 ottobre 1824, è figlio del chimico farmacista Giovanni Battista Ragazzoni. Sulle orme del padre, Giuseppe eredita la passione per le scienze naturali. Rimasto orfano a 11 anni, coltiva la sua passione grazie al tutore Stefano Grandoni, che lo accompagna fino alla laurea in Farmacia. «Sempre sull’esempio del padre - ricostruisce don Antonio Fappani nella sua Enciclopedia bresciana - coltiva la ricerca geologica e si incarica dell’amministrazione delle miniere di Collio e Bovegno, in Valtrompia».

Alcuni dei minerali della collezione di Ragazzoni - Foto tratta da «Giuseppe Ragazzoni. Il maestro della geologia bresciana» di Paolo Schirolli
Alcuni dei minerali della collezione di Ragazzoni - Foto tratta da «Giuseppe Ragazzoni. Il maestro della geologia bresciana» di Paolo Schirolli

Collezionista di minerali (studiò anche il meteorite di Alfianello) nel 1854 partecipa con una delle sue raccolte all’Esposizione Universale di Parigi, mentre stringe amicizia con il concittadino Giuseppe Zanardelli. Nel 1859 è tra i coraggiosi che si riprendono dagli austriaci il Castello, issando il tricolore sulla torre Mirabella. È il generale Alessandro Lamarmora a presentarlo all'imperatore Napoleone III, che si fa spiegare proprio da lui come sono fatte le valli bresciane e anche come penetrare in Trentino passando da Maniva e Croce Domini. È il 1860, però, l’anno che gli cambia per sempre l’esistenza con la scoperta di Castenedolo e che dà il via all’appassionato dibattito di cui lui stesso è la scintilla.

La scoperta di Castenedolo

Alla fine dell’estate del 1860, cercando fossili dell’età del Pliocene (epoca geologica che iniziò 5,3 milioni di anni fa) nelle argille della collina di Castenedolo, Giuseppe Ragazzoni si imbatte in alcuni resti umani. Ai piedi di una quercia, di cui ancora esiste il ceppo, il geologo trova una calotta cranica e altre ossa umane. «Per quanto ritrovati pressoché alla superficie del suolo - spiega il prof. Giovanni Battista Cacciamali, suo allievo - i resti erano commisti a madrepore e molluschi marini del periodo pliocenico». Questo porta Ragazzoni a condividere la sua scoperta con gli illustri geologi Stoppani e Curioni, che si mostrano però fin da subito piuttosto scettici, intiepidendo gli animi.

Gli appunti su Castenedolo - Foto tratta da «Giuseppe Ragazzoni. Il maestro della geologia bresciana» di Paolo Schirolli
Gli appunti su Castenedolo - Foto tratta da «Giuseppe Ragazzoni. Il maestro della geologia bresciana» di Paolo Schirolli

Trascorrono vent’anni: l’entusiasmo del ritrovamento sta quasi per esaurirsi, quando c’è un altro colpo di scena. A gennaio del 1880, a pochi metri di distanza dal primo rinvenimento e a due metri di profondità, il geologo bresciano trova ancora una volta ossa appartenenti a un individuo adulto e alcune di bambini. E anche queste, come riportato ancora una volta da Cacciamali, «intimamente commiste alle conchiglie e ai coralli». Un mese dopo, è il turno di uno scheletro di donna. È allora che Ragazzoni si decide a comunicare la scoperta all’Ateneo di Brescia, in un’importante memoria pubblicata integralmente nei Commentari del 1880.

Il dibattito

Un disegno del cranio «Castenedolo skull» - Foto tratta dalla pagina Facebook di Origins Magazine
Un disegno del cranio «Castenedolo skull» - Foto tratta dalla pagina Facebook di Origins Magazine

Lo scritto scatena un accesissimo confronto tra chi pensa che il bresciano abbia ragione sostenendo la scoperta eccezionale e i più reticenti che guardano con prudenza al ritrovamento. «Ci fu grande rumore nel mondo scientifico - racconta Cassamali -: valenti geologi ed antropologi accolsero con entusiasmo le idee del Ragazzoni, altri non meno valenti sorsero a combatterle». Tra chi sostiene che gli scheletri di Castenedolo siano preistorici c’è anche lo studioso Giuseppe Sergi, che ribatte più volte alle obiezioni degli oppositori e chiede addirittura che i resti gli vengano spediti a Roma per conservarli nel Museo antropologico da lui fondato.
Nel 1888, dal Portogallo arriva appositamente anche l’esperto Francisco Ferraz de Macedo, che effettua altri scavi a Castenedolo per confermare l’«incontestabile pliocenicità di quei contestati ossami».

La svolta

Un ritratto del prof. Ragazzoni
Un ritratto del prof. Ragazzoni

I fatti e le discussioni si rincorrono in un continuo confronto che sta assumendo dimensioni internazionali, quando nel 1889 c’è la terza scoperta. È la svolta. L’ingegner Carlo Germani, proprietario di un terreno a Castenedolo, fa scavare delle fosse ai contadini per piantare nuovi filari di viti: dal terreno spunta un altro scheletro umano, che giace in un «compatto banco di ostriche». È allora che il Ministero della Pubblica Istruzione dà l’incarico ai professori Issel e Sergi di andare a fare un sopralluogo a Castenedolo e risolvere l’arcano.

Non ci riescono definitivamente, per quanto sostengano che le sepolture sono successive perché la copertura delle ostriche non è uniforme su tutte le ossa ritrovate. Seguono nuovi accurati scavi, ricerche finanziate dall’Ateneo di Brescia, riesumazioni, trattati pro e contro. Fino a quando Ragazzoni, ormai vecchio e malato, chiede di rivedere il terreno di Castenedolo per l’ultima volta e investe l’allievo Cacciamali di portare avanti i suoi studi.

L’ultimo capitolo

La piramide dedicata a Ragazzoni in Castello a Brescia
La piramide dedicata a Ragazzoni in Castello a Brescia

La parola fine a questa tribolata vicenda arriva nel 1969, un secolo dopo il primo ritrovamento. Analizzando i resti che Ragazzoni aveva inviato a Sergi per il suo museo, ancora incrostati della matrice originale, è il laboratorio di ricerca del British Museum di Londra a chiudere la questione. Sottoponendo il collagene prelevato da vertebre e costole alla datazione radiometrica con il Carbonio-14 (metodo che, definito negli anni ’60, consente di stabilire con un’approssimazione molto ridotta a quando risale un reperto), gli scienziati inglesi stabiliscono che le ossa di Castenedolo risalgono a massimo 950 anni prima.

La fine di un sogno? Per la scienza, senza dubbio sì. Eppure, da bresciani non si può che provare gratitudine sia per il Ragazzoni uomo che per il Ragazzoni scienziato. E a distanza di tanti anni, rendergli omaggio alla enorme piramide a lui dedicata: una scultura alta 8 metri che sorge sulle pendici del Castello di Brescia e su cui, appoggiato sull’arenaria rossa, svetta il ritratto dello scienziato sul bassorilievo in bronzo eseguito dallo scultore Francesco Pezzoli. L’epigrafe recita: «A Giuseppe Ragazzoni / nel cospetto delle patrie vallate / che egli / sapiente delle geologiche discipline / a pubblico beneficio svelava».

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