La benedizione di un defunto nel silenzio di un cortile

La fotografia scattata a Brescia racconta il tempo che stiamo vivendo
La benedizione di un defunto a Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
La benedizione di un defunto a Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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La benedizione di un defunto, all’aperto, nel cortile di casa. La bara chiusa, com’è d’obbligo per il pericolo di contagio da coronavirus. Da un lato il prete, dall’altro, fuori dall’inquadratura, i familiari. C’è il sole, è primavera, anche se è difficile crederlo. Siamo a Brescia, dove i morti per la pandemia sono più di mille (1.230 al 29 marzo, ma è una stima fortemente al ribasso e in continua crescita).

Sullo sfondo due persone osservano la scena. Un uomo e una donna. Lui indossa la mascherina, tiene le mani appoggiate alla ringhiera del balcone. Lei ha le braccia conserte, la testa leggermente reclinata.

È facile immaginare il silenzio che circonda la preghiera letta al microfono. È un silenzio a cui ci siamo abituati in fretta, così come alle strade deserte. A questo modo di dire addio, invece, è ancora impossibile abituarsi. Addii senza riti condivisi, necessariamente veloci, dove manca lo spazio per un abbraccio e ancora di più il tempo per salutare chi non sarà più al nostro fianco.

«Ho benedetto diciotto salme in un unico giorno», racconta don Marco Mori, sacerdote a San Polo, nella Parrocchia della conversione di San Paolo. «Eppure non c’è alternativa alla speranza», aggiunge, sapendo quanto sia difficile da coltivarla in queste settimane. La speranza a cui si affianca necessariamente la dignità che nonostante tutto non può essere negata ai morti e a coloro che li piangono. 

La nostra comunità è come un terreno inondato, dove l’acqua travolge, devasta e ristagna. Assorbire tutto, tutto insieme, è impossibile. Oltre alla speranza, alla dignità serve anche il tempo, il tempo del lutto e il tempo per fermare la pandemia, che non va sprecato per intervenire sulla catastrofe che sta generando, sanitaria, sociale ed economica.

Torniamo alla fotografia. Ci sono immagini diventate simboli universali dell’emergenza coronavirus, le città svuotate, le mascherine, i camion militari che a Bergamo trasportano le salme verso i templi crematori di altre città, la preghiera solitaria del Papa in piazza San Pietro. Questo addio privato, fotografato a Brescia, ha una potenza simile: racchiude un’epoca e ci ricorda che è tutto vero, anche se a volte per qualche istante ci ritroviamo a pensare o a illuderci che non lo sia.

 

 

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