L’urlo di artigiani e commercianti: «Rischiamo la fine»
Chiedono allo Stato certezze sul futuro. Aiuti economici per andare avanti e non elemosine. Vogliono strategie di medio termine oltre l’emergenza immediata, pretendono dal Governo meno promesse e più fatti. Osservano la curva dei contagi, sperando che restrizioni collettive e comportamenti individuali facciano cambiare di colore alla Lombardia e a Brescia, potendo così riaprire. Puntano sul Natale perché i bilanci del 2020 trovino un po’ di sollievo. Temono che questa seconda ondata possa decretare la fine di centinaia e centinaia di attività, con drammatiche ripercussioni sull’occupazione e la tenuta del tessuto sociale. Commercianti e artigiani stanno vivendo settimane drammatiche. Si parla di aziende e di imprese che corrispondono a visi, famiglie, vite.
«La situazione è disastrosa, inimmaginabile», esordisce Carlo Massoletti, presidente di Confcommercio. «Guardi, ricevo telefonate disperate. C’è gente che sta vendendo la casa per tenere in piedi la sua attività». Massoletti cita il caso di un ristoratore della provincia che si è indebitato per rinnovare il locale, è in difficoltà con la banca e il personale se n’è andato in cerca di un altro lavoro. «Non mi sarei mai aspettato una crisi del genere».
Il commercio. Martedì scorso la Regione ha stanziato 167 milioni come indennizzi per micro imprese e partite Iva (fra i mille e i duemila euro). «Bene, ma è una goccia nel mare delle necessità», aggiunge Massoletti. «Chi è tagliato fuori si lamenta, chi li prenderà dice che non è abbastanza». La parola d’ordine è resistere. «Il lockdown colpisce duro anche nel resto d’Europa, la differenza è che gli altri Paesi hanno più risorse. Noi dobbiamo fare le nozze con i fichi secchi». Senza contare che i ristori statali arrivano, quando arrivano, con lentezza. In Lombardia sono oltre 102mila le imprese chiuse, novemila nel Bresciano. «Si rischia di perdere interi pezzi di rete commerciale», dice Massoletti. Il quale si augura la riapertura almeno dal 4 dicembre. «Facciamo affidamento sul Natale: senza gli acquisti natalizi la metà delle attività, soprattutto al dettaglio, rischiano di saltare».
C’è grande sconforto, «che spesso si trasforma in rabbia», afferma il direttore generale di Confesercenti, Stefano Boni. «Le associazioni di categoria lavorano con le istituzioni per cercare di migliorare la situazione, ma il momento è a dir poco difficile». I commercianti «chiedono solo di lavorare, sperano in una riclassificazione delle zone, si augurano che almeno le vendite di Natale possano essere salvate. Sarebbe fondamentale».
Gli artigiani. Anche fra le categorie degli artigiani penalizzate dal lockdown cresce la tensione. «Non ci aspettavamo questa seconda ondata», dice Eugenio Massetti, presidente di Confartigianato. «Speravamo che a settembre-ottobre ci potesse essere una forte ripartenza, invece tutto è rimandato di mesi». Metà del settore benessere, le attività legate ai bar e alla ristorazione, i confezionisti e tanti altri, sono al palo. «Tanti mi dicono che bisogna scendere in piazza a protestare, io raccomando la calma, ma il Governo deve essere più definitivo nelle scelte, accelerare i ristori, mantenere le promesse, meno chiacchiere e più fatti». Massetti fa l’esempio del superbonus del 110% nell’edilizia: «Non c’è certezza sui finanziamenti e sulla durata della misura. Così non partono gli interventi».
Gli artigiani chiedono «di essere sorretti, non vogliono la carità», afferma Bortolo Agliardi, presidente dell’Associazione Artigiani. Con gli indennizzi una tantum «non si va da nessuna parte. Serve un piano pluriennale per sorreggere le imprese, che stanno perdendo la fiducia. Da parte del Governo non c’è chiarezza sui programmi futuri». Il Recovery Fund si allontana, «mentre servono soluzioni chiare a medio termine per l’economia». Chi è chiuso vive la stessa dura esperienza di marzo-aprile, «ma anche chi è aperto in certi contesti soffre la mancanza di clienti». Le filiere legate ai settori in lockdown, le attività nei centri commerciali dove non va più nessuno. Agliardi ripete: «Serve un piano serio, non elemosine».
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