Judo. La Santa Lucia sul tatami è una festa per duecento bambini

BRESCIA
"Trofeo Santa Lucia", ma trofeo non è stato. Ci si è trovati per il piacere di stare insieme e di praticare un po' di judo, in un clima disteso, festoso, rilassato. Centonovantasette giovani atleti si sono incontrati sabato pomeriggio al palazzetto del centro sportivo Vittorio Mero di Folzano per sfidarsi "senza nessun vincitore, senza nessun vinto". Queste le parole di Adriano Gatta, istruttore del Judo Club Capelletti - facente capo al maestro Franco Capelletti, leggenda bresciana dell'arte marziale giapponese - cerimoniere dell'intero evento.
Svariate palestre, bresciane e di province limitrofe, hanno portato un nutrito plotone di giovanissimi atleti muniti di judogi (la tradizionale tenuta del judoka).
Undici organizzazioni, per la precisione: al di là del Judo Club Capelletti di Brescia, erano presenti le palestre di Sarezzo, Monterotondo, Roncadelle, Castel Mella, Palazzolo sull'Oglio, Sulzano, Solferino, Sarnico e due diversi centri sportivi di Calcinato. Maschi e femmine, i judoisti del "Trofeo Santa Lucia" avevano un'età compresa tra i quattro e gli undici anni.
"Abbiamo ideato quest'iniziativa - ha spiegato Gatta - per dare la chance ai nostri ragazzi di potersi misurare, attraverso combattimenti in piedi ed a terra, con coetanei che non conoscono, evitando così l'abitudine di scontrarsi sempre e solo con gli stessi compagni di corso". Gli atleti sono stati divisi in una quarantina di gironi all'italiana, composti da tre o quattro judoka e determinati in base all'età ed al peso. A seguire le loro mosse sul tatami, il materassino su cui si svolgono gli incontri di judo, gli occhi di circa 400 spettatori.
Prima di dare inizio alle sfide, tutti i giovani combattenti si sono riuniti per una chiassosa foto di gruppo con due ospiti speciali. Il primo, ovviamente, il maestro Franco Capelletti, settantuno anni e fisico intatto, sguardo calmo e posato; la seconda la giovanissima Elena Moretti. Ventiduenne di Rezzato, judoka dall'età di 8 anni, la nostra atleta - che combatte per il gruppo sportivo Fiamme Azzurre - quest'anno ha vinto gli Assoluti italiani, i Giochi del Mediterraneo e gli Europei Under 23. Una furia, ma, nella situazione di trovarsi davanti ad un intervistatore, è sembrata un po' in soggezione (piccola nota scherzosa: sebbene Elena sia tutto fuorché imponente e l'intervistatore si aggiri attorno al metro e ottantasette, quest'ultimo non vorrebbe mai arrivare alle mani con la campionessa).
"Un po' mi rivedo in tutti questi ragazzini - ha affermato la Moretti -. A quell'età il judo è per lo più divertimento". Quand'è che hai iniziato a realizzare che l'arte marziale nipponica sarebbe stata la tua strada? "Beh, dopo le prime competizioni... Cominciando a vincere prima a livello provinciale, poi regionale e quindi nazionale". Quali sono le tue caratteristiche, sia a livello tecnico che caratteriale? Cosa consiglieresti ai ragazzini che oggi si divertono sul tatami? "Tutti mi dicono che ho un carattere di ferro e tanta grinta. E poi sono istintiva, quando la situazione è intricata mi faccio guidare da una sorta di sesto senso. Attenzione, però, perché da solo quello non basta".
Mentre i giovani battevano le mani e le braccia sul tappeto piazzato nel centro del "Vittorio Mero" e il pubblico iniziava a rumoreggiare, è partito l'inno italiano. È comparso un tricolore. Gli atleti più giovani con indosso il judogi sembravano dei pulcini con un po' di guscio rimasto sulle piume. Pulcini col piccolo becco pronto a mordere, certo, ma animati da uno spirito sicuramente non aggressivo. Come spiega Matteo Fiorentino, istruttore della palestra di Monterotondo, cintura nera quarto dan: "Manifestazioni come questa aiutano a socializzare, ch'è la cosa più importante nella fase in cui un bambino avvicina questo sport. Altro caposaldo: divertirsi. È la prima cosa che faccio presente a qualsiasi atleta si presenti in palestra".
Non è il primo a sottolineare quest'aspetto. Tutti gli addetti ai lavori che abbiamo incontrato nel corso del pomeriggio si sono soffermati sul divertimento, sull'importanza della condivisione, sul senso del gruppo, quantomeno nella fase in cui il judo è ancora un gioco. Ci verrebbe quasi da dire... un joco.
Daniele Ardenghi
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