Iyas Ashkar: «Solo se vedi la bellezza della città sei a casa»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo in occasione del 2023
Iyas Ashkar © www.giornaledibrescia.it
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Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’'omologa bergamasca invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo (in calce all’intervista trovate il link diretto alla pagina dedicata del quotidiano orobico).

Determinato. Fin dai suoi primi giorni in Italia, alla fine del 1999, quando è arrivato per continuare a studiare medicina. Determinato, nel suo percorso di integrazione in cui si è sempre sentito parte della comunità che lo ha accolto.

Iyas Ashkar, lei è arrivato con un permesso di studio. Poteva vivere questa sua «condizione» tra le mura universitarie. Invece ha scelto di allargare lo sguardo.

Fin da subito ho voluto conoscere sia chi mi circondava per condividere le mie origini, sia l’Italia. Così mi sono impegnato su due fronti: imparare bene e in fretta la lingua e viaggiare. Ogni giorno leggevo due quotidiani, ma guardavo anche il «Maurizio Costanzo show» perché lui parlava in modo chiaro e riuscivo a capire. Era quasi un’ossessione, quella della lingua, perché riuscire a capire bene gli altri significava anche farmi capire. Ed è così che ho scoperto il doppio volto dell’Italia: da una parte le persone, gli amici e i colleghi di studio e, dall’altra, le istituzioni con le quali ogni straniero doveva, e deve, fare i conti. Andare in questura a rinnovare i documenti è stato a lungo un incubo: fuori da lì ero un italiano, indipendentemente dai documenti che avevi in tasca. In fila davanti agli sportelli diventavi un peso, un immigrato, uno qualunque. Vivevo la burocrazia e la mancanza di rispetto come una pesante umiliazione. Non ne parlavo, però, perché lontano dall’assurda burocrazia le soddisfazioni erano molte.

Lei ha vissuto più esperienze condivise con gli italiani. Il corso promosso dall’Associazione Fondo ambiente italiano, tuttavia, è stata quella determinante. 

Intanto, sono convinto che più fai, più apri nuove porte. Ci sono state esperienze innovative, ma la principale è stata proprio quella del corso «Arte, un ponte tra culture» ideato da Giosi Archetti dell’Associazione Amici del Fai. Un gruppo di persone che viveva a Brescia e proveniente da differenti Paesi ha potuto conoscere il patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale trasformandolo in strumento per favorire l’integrazione. Da quel momento la città da giardino esterno è diventata salotto di casa. Una casa di cui potersi "impadronire". Se parli la lingua, conosci la cultura e riesci a vedere la bellezza delle piazze e dei monumenti, ti cambia la prospettiva. Tanto che, quando mi è capitato di fare da guida ai bresciani, non ho chiuso occhio per l’emozione.

Associazionismo e volontariato sono due parole che hanno grande importanza nel suo vocabolario.

La partecipazione è stata favorita di certo dal mio orgoglio di appartenenza a questa comunità. Mi sono impegnato nel mondo della ristorazione e nella promozione, anche politica, della mia storia personale. Bisogna saper cogliere l’apertura che caratterizza alcune amministrazioni in Italia, tra queste quella di Brescia. Ha avuto il merito di aprirsi e avvalersi positivamente dell’energia e dello sforzo che molti immigrati come me hanno compiuto negli anni. Sul territorio sono più avanti rispetto alle istituzioni nazionali.

Ed ora, da consigliere?

Bisogna accendere in ogni residente la speranza che anche un suo sforzo può essere utile. Odio gli indifferenti, quelli che aspettano che siano gli altri a darsi da fare. Mi piacerebbe che le comunità si muovessero con le stesse motivazioni che ho avuto io: ci siamo fatti conoscere, ci siamo aperti e Brescia ci ha ricambiato. Essere in consiglio può diventare un modello ed è positivo che nel programma non ci fosse alcun percorso differenziale per immigrati, nessuna separazione di interessi o di obiettivi: ci facciamo carico dei problemi di tutti. Essere di origine straniera, però, significa avere anche altre sensibilità perché non si è solo italiani. 

A questo link l’intervista allo specchio curata da L’Eco di Bergamo >>

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