Italiani, rivoluzionari da social

La partigianeria fa parte del nostro dna: oggi divide tutti su tutto e corre solo sui social, mentre gli altri scendono in piazza
Le proteste in Francia per la morte di Nahel - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Le proteste in Francia per la morte di Nahel - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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È un ritornello da hit: «Perché in Italia non accade mai?». E la scintilla è quasi sempre la vista dal buco della serratura Oltralpe: stavolta sono i disordini in Francia, qualche anno fa furono i gilet gialli e la Brexit. «Perché qui non c’è mai una rivoluzione?», incalza l’ode. Ma le masse si muovono quando inseguono una voce, una rabbia condivisa che si nutre di parole. Le rivoluzioni, come la musica, hanno bisogno di amplificazioni. Parigi queste cose le ha già vissute.

Non bastano disperazione e senso d’ingiustizia. Solo allora il vecchio mondo conosciuto si sgretola. Nell’Italia ante litteram è accaduto forse solo una volta, nella Roma repubblicana. Poi le rivolte di popolo non hanno mai avuto fortuna: né Catilina né Cola di Rienzo; «il profeta disarmato» Savonarola fu messo a morte a Firenze, Masaniello decapitato a Napoli. Persino la guerra partigiana non portò ad alcuna rivoluzione nel Dopoguerra perché intanto i giochi politici erano già stati fatti. In tempi più recenti, chi ricorda i Forconi? Non fecero altro che dimostrare il calo vertiginoso del livello delle aspirazioni rivoluzionarie.

Montanelli scrisse che «gl’italiani hanno una deplorevole tendenza a considerare già fatto quello che hanno soltanto detto». Eppure la partigianeria fa parte del nostro dna. Oggi divide tutti su tutto e corre solo sui social, mentre gli altri scendono in piazza.

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