«Io, orologiaia bresciana, lavoro nel paese senza tempo»

La 26enne Silvia Ferraglio che è figlia d’arte sta portando avanti la sua passione in Svizzera. E ha un sogno
Sguardo magnetico. La triumplina Silvia Ferraglio con gli attrezzi del mestiere
Sguardo magnetico. La triumplina Silvia Ferraglio con gli attrezzi del mestiere
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Sembra che il tempo nel piccolo paese svizzero di Tramelan, nella Giura Bernese, si sia fermato. O forse a fermarlo è stata proprio lei, Silvia Ferraglio.

Nata a Gardone Val Trompia 26 anni fa, da cinque si è trasferita nella regione francese della Svizzera per portare avanti non solo la propria carriera, ma una vera e propria passione: l’orologeria.  Figlia d’arte. «Un amore nato naturalmente in famiglia essendo figlia d’arte - racconta Silvia, orologiaia di quarta generazione-. Al contrario di come molti genitori fanno, i miei non mi hanno mai spinto o fatto pressione per continuare a fare la loro professione: questa è stata la chiave di tutto. Il tempo, i meccanismi e ogni piccolo elemento che compone un orologio mi hanno sempre affascinato, per questo ho deciso di partire e andare nel paese d’eccellenza storica dell’orologeria, anche se all’inizio non è stato facile.

Avevo 21 anni, da sola e non sapevo nulla di francese, l’ho imparato con alcuni corsi una volta trasferita. Il paesino sembra quello rappresentato nelle favole: c’è sempre tanta neve da spalare, poche persone con cui parlare e gli svizzeri sono davvero come li ricordiamo nei luoghi comuni: puntuali e frettolosi, noiosi e poco conviviali, non come noi. Su quelle montagne mi sento un po’ come una Heidi moderna».

Moderna decisamente, in quanto non sono tante le orologiaie donne che in Svizzera e in Italia oggi decidono di portare avanti un’antica professione o che, addirittura, vogliono diventare maître horloger Suisse.

Il percorso di Silvia è iniziato a Brescia, alla scuola professionale per diventare psicologa «perché alla fine sempre di meccanismi si parla», per poi proseguire a Tramelan. «Prima di tutto ho dovuto capire cosa veramente volevo fare nel mondo del tempo: l’unicità. Per nove ore al giorno lavoro nell’azienda di Armand Nicolet, riparo e costruisco orologi antichi e contemporanei, ma assolutamente non prodotti in serie. Attrezzi specifici e ore di studio per rendere un orologio davvero senza eguali. Chi lavora nelle fabbriche, in serie, finisce per diventare a sua volta una macchina perdendo quel tocco personale che invece rende unico ogni singolo oggetto. Per la Svizzera la figura di mastro orologiaio è fondamentale, in Italia non è quasi contemplata invece. Oltre al lavoro, frequento una scuola serale di cinque anni per diventarlo e sono già al quarto anno, quindi manca poco».

Subito viene da pensare a come un lavoro così complesso, fatto di tanti piccoli elementi che funzionano solo se sapientemente connessi fra loro, possa avere un futuro al di fuori della produzione seriale. Una preoccupazione che pare non tangere Silvia che le idee chiare, sul suo futuro, le ha da sempre. «Una volta finiti gli studi voglio tornare in Italia e realizzare qualcosa di mio. Ogni tanto quando torno a Gardone faccio un banchetto, mi metto lì, lavoro e piano piano mi faccio conoscere, ma non nascondo il mio sogno nel cassetto. Mi piacerebbe realizzare qualcosa di speciale e solo mio, come un meccanismo che funziona in una modalità unica al mondo». Unica come Silvia.

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