Inquinamento da pcb, acciaierie nel mirino dell'Arpa

Uno studio dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente mette in guardia sui livelli di pcb nelle emissioni delle acciaierie
Pcb, occhi puntati sulle acciaierie
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Tredici acciaierie, un terzo di quelle presenti in tutta Italia, una produzione di diversi milioni di tonnellate annue e una sigla che continua a spaventare Brescia e provincia: Pcb. L’Arpa ha presentato uno studio da cui emerge come il sistema di abbattimento degli inquinanti nei fumi degli impianti siderurgici sia efficace per le diossine, ma non per i pcb, tristemente noti sul nostro territorio per l’emergenza irrisolta della Caffaro.

Le aziende riunite nel consorzio Ramet, all’interno dell'Associazione industriale bresciana, hanno anticipato dal 2012 l’abbassamento della soglia massima di diossine, prevista per legge a partire dal 2016, ma il sistema utilizzato, basato sostanzialmente sui carboni attivi, per il pcb non ha dato i risultati sperati.

Se prima si arrivava ad un massimo di 30 chili immessi in atmosfera dai 13 impianti ogni anno, dopo i miglioramenti le stime dell’Arpa indicano ora una misura variabile tra i 6 e i 22 chili di policlorobifenili. Le acciaierie riunite in Ramet, pur in assenza di un limite di legge per l’emissione di pcb, spiegano di essersi già attivate per risolvere il problema. Ma la notizia è comunque preoccupante per Brescia, anche in considerazione del fatto che gli inquinanti si sono accumulati per anni, anche in periodi in cui la legislazione era meno stringente.

Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia.it

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