In fuga dalla guerra in Siria, accolti a Brescia con i tre bimbi

Un corridoio umanitario ha dato nuova speranza a Osama e Fatima e ai tre figli: ad aiutarli genitori della Calini e amici
Osama e Fatima nella cucina del loro appartamento - © www.giornaledibrescia.it
Osama e Fatima nella cucina del loro appartamento - © www.giornaledibrescia.it
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Raccontano che Ahmed, quando ha sentito la campanella della fine della lezione, si sia nascosto sotto il banco di scuola, pensando a un allarme antiaereo. Si era scordato di essere al sicuro, a Brescia, lontano dalle bombe che hanno distrutto Homs, la città della Siria in cui è nato. Da quel giorno sono passati quasi tre mesi e alla campanella il bimbo pare essersi abituato, ma agli aerei no, non ancora. Li vede e li sente con sospetto, dice il padre Osama mentre beviamo il caffè nella sala luminosa dell’appartamento del centro storico in cui sulle porte ci sono pezzi di scotch con scritto «porta», in maiuscolo, per prendere confidenza con l’italiano.

Rifugio sicuro. Osama Hanza ha ventotto anni, la moglie Fatima Hammhud trenta, i figli Ahmed, Mohammed e Samir ne hanno dieci, nove e tre. Nel 2013 sono scappati dalla Siria e per cinque anni hanno vissuto nei campi profughi in Libano, prima di arrivare a Brescia lo scorso novembre grazie ai corridoi umanitari aperti dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese evangeliche e la Tavola valdese. Funziona così: volontari delle associazioni individuano nei paesi che collaborano al progetto le famiglie che possono beneficiare di questo tipo di aiuto e organizzano, quando riescono, il trasferimento in Italia. Sono operazioni autofinanziate dalle organizzazioni e svolte in accordo con il governo italiano: i rifugiati arrivano con visti umanitari validi solo nel nostro Paese e possono in un secondo momento presentare domanda di asilo.

Ahmed e Mohammed durante le lezioni al pomeriggio - © www.giornaledibrescia.it
Ahmed e Mohammed durante le lezioni al pomeriggio - © www.giornaledibrescia.it

Osama aveva visto partire così altri suoi parenti che ora vivono a Trento. Ha atteso, ha sperato, poi la sua famiglia ha potuto lasciare il campo con cinquemila rifugiati per una casa coi muri veri, messa a disposizione da un’istituzione di beneficenza. Per rimarcare la differenza, Fatima ci mostra i filmati dei figli che giocano nella neve alta più di loro o della pioggia che invade le tende dei profughi, in Libano. Attorno a noi, i bimbi stanno giocando tra la sala e la camera da letto, inizialmente intimiditi per l’intrusione e poi liberi di farsi i fatti loro. «Ti piace la scuola?», chiediamo ad Ahmed, tipo lo zio col nipote con cui ha poca confidenza, e la sua risposta è «sì». E non è una risposta di comodo, di questo siamo sicuri, dato che oltre alla Sant’Egidio la scuola è l’altro polo su cui si fonda l’accoglienza di questa famiglia.

Osama e Fatima con amici e vicini di casa - © www.giornaledibrescia.it
Osama e Fatima con amici e vicini di casa - © www.giornaledibrescia.it

Alle elementari Calini insegnanti, alunni e genitori si danno da fare perché i nuovi compagni si sentano a casa. «È stato tutto molto spontaneo - racconta Laura, mamma di un compagno di classe di Ahmed -. Ci siamo sentiti in dovere di includere la famiglia nella nostra comunità. Ci siamo preoccupati di raccogliere cibo, materiale scolastico, ma anche semplicemente di non farli sentire isolati. Certo, con la lingua per il momento è complicato». Già, la lingua. Per i bambini è più facile imparare, grazie alla scuola. Organizzandosi, le maestre riescono a garantire ore di alfabetizzazione. Il Comune di Brescia dà una mano finanziando un progetto specifico, mentre il Ministero dell’istruzione latita. «Le risorse non bastano - dice la dirigente scolastica Loredana Guccione -. L’organico si è ridotto, mentre le esigenze dei nostri alunni diventano sempre più complesse. Ci sentiamo ancora un’isola felice, in fondo, ma serve un grande sforzo».

I bambini vengono anche aiutati da due volontarie per i compiti, al pomeriggio. Per i loro genitori l’italiano è invece uno scoglio maggiore. Una professoressa in pensione si è offerta di dare una mano un paio di mattine alla settimana e Osama frequenta di sera la scuola per stranieri a San Giovanni. Per capirci, in questo incontro, ci aiuta Josphin, vicina di casa arrivata pure lei dalla Siria grazie alla Sant’Egidio.

Michel Farha nell’appartamento di Osama e Fatima - © www.giornaledibrescia.it
Michel Farha nell’appartamento di Osama e Fatima - © www.giornaledibrescia.it

Lei e il marito Michel Farha hanno due figli, il più piccolo dei quali, Charbel, ha tre anni e si unisce ai giochi con Samir. In Italia dal 2016, pensano a mettere radici e a comprare casa, grazie allo stipendio di Michel, passato dal fare l’avvocato a Damasco all’operaio a Rezzato. Mentre Osama, se si immagina la propria vita tra un anno, spera di avere imparato a parlare l’italiano e di avere un lavoro. «Faccio tutto», dice. A Homs voleva iscriversi all’Università, ma la vita gli ha riservato altro. E adesso, in un armadio, ha ancora parte del cibo che è stato loro regalato a Natale. Ha imparato, in questi anni, che non si sa mai.

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