Il vescovo: «Ucraina, c'è il diritto alla difesa ma no all'odio»

La conversazione integrale con Monsignor Pierantonio Tremolada sarà trasmessa stasera alle 20.30 nel corso di Messi a fuoco su Teletutto
L'intervista al vescovo Pierantonio Tremolada
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Sono purtroppo moltissime le immagini della pandemia che resteranno per sempre impresse nelle nostre menti, nei nostri cuori. Tra queste, la Via Crucis in solitaria del vescovo Pierantonio Tremolada lungo le vie spettralmente deserte della città riassume perfettamente il senso di sgomento che ci ha colto.

Due anni dopo, proprio da quei momenti parte la nostra conversazione con il pastore della Chiesa bresciana.

Eccellenza, il virus sta, seppur lentamente, allentando la sua morsa, ma il «dopo» tanto atteso non è stato certo un ritorno alla normalità.

Purtroppo è così, abbiamo vissuto mesi tragicamente drammatici, speravamo che fosse arrivato il tempo di chiudere con la pandemia e di tornare alla normalità, così sappiamo bene che non è stato. Questa nuova esperienza della guerra in Ucraina ci provoca turbamento, siamo choccati e scossi profondamente. Siamo sconcertati dall’insensatezza di quello che sta accadendo. Potremmo cedere allo sconforto, ma proprio la Pasqua che stiamo vivendo in questi giorni ci ricorda che l’amore vince, questa è la speranza cristiana. È certo difficile pensare questo di fronte a quello che vediamo, ma è nostro dovere continuare a credere convintamente che il bene può, e deve, trionfare.

La lavanda dei piedi nella Cena del Signore - © www.giornaledibrescia.it
La lavanda dei piedi nella Cena del Signore - © www.giornaledibrescia.it

Dall’Ucraina ci arrivano quotidianamente notizie e immagini tragiche, sofferenza e morte. Essendo il nostro il tempo della comunicazione, questo accade con flusso continuo. Non c’è il rischio di assuefazione?

Questo è vero, il rischio è indubbiamente che questo «sovraccarico», se così possiamo definirlo, renda tutto questo, renda l’orrore della guerra, abitudinario, e che quindi non ci colpisca più nel profondo come dovrebbe. Ma noi abbiamo una coscienza, non dimentichiamolo, è lei che tiene desto, in ogni momento, il nostro senso di umanità.

L’impressione è che nel dibattito pubblico si parli molto di guerra ma molto meno di pace. Lei cosa ne pensa?

Questa è sicuramente l’impressione che ognuno di noi ha dalla narrazione quotidiana del conflitto. Questo perché il dialogo richiede molto più impegno, è più faticoso anche per essere raccontato, spiegato. Nonostante questo, mi auguro di cuore che il dialogo della pace prenda sempre più spazio fino alla conclusione della guerra.

Il conflitto è diventato uno scontro tra fazioni, non solo in terra Ucraina. Qualsiasi scelta finisce nel tritacarne mediatico, e così anche la decisione di papa Francesco di avere una famiglia ucraina e una russa a portare la croce durante le stazioni della Via Crucis al Colosseo è stata pesantemente criticata dal presidente ucraino Zelensky, come commenta questa presa di posizione?

Mi è molto dispiaciuto, ma voglio immaginare che si tratti di una reazione istintiva, dettata ovviamente dalla indicibile sofferenza che sta vivendo il suo popolo. È una ferita molto profonda che soltanto il tempo, molto tempo, potrà cicatrizzare. Ma la scelta fatta dal Papa è senza dubbio quella giusta, questo dobbiamo sottolinearlo con forza.

Il mondo intero si chiede quale sia la scelta migliore in questo momento, armare l’Ucraina è la strada giusta da percorrere?

Dobbiamo essere molto chiari da questo punto di vista, siamo di fronte a un’invasione, al diritto alla vita che viene leso. Il popolo aggredito deve difendersi, la legittima difesa è indiscutibile. Ma qui serve un supplemento di riflessione, dalla legittima difesa può partire un’escalation di violenza che può portare verso scenari che non vogliamo nemmeno immaginare. Bisogna trovare il giusto equilibro, e questo giusto equilibro lo si può trovare attraverso il dialogo, l’incontro, la diplomazia. La strada delle armi appare la più facile, ma non lo è. Ribadisco, un popolo aggredito deve potersi difendere, ma solo la diplomazia può riportare in quella terra martoriata la pace. L’odio tra i popoli non porta la pace.

Il Papa non nomina mai Putin nei suoi appelli per la pace, è una decisione giusta?

Non dobbiamo ragionare a istinto, dobbiamo capire che papa Francesco ha sempre e comunque rispetto per le persone, crede profondamente nel dialogo con tutti, soprattutto con persone dalle quali dipende il destino di una nazione, di un popolo, dell’intera umanità come i fatti di queste settimane ci dimostrano dolorosamente. Non solo, noi siamo credenti, e il Papa (e noi con lui) siamo convinti del valore della preghiera, dobbiamo pregare costantemente, per tutte le persone. Per tutte.

La propaganda russa arriva fino a negare le stragi compiute in molte città, a negare quanto le fosse comuni testimoniano inequivocabilmente. Come può accadere?

Sono molto colpito da tutto questo, ci rifletto spesso, mi ferisce profondamente. Oltre alla violenza brutale c’è la sua negazione, questo è incredibile. A quelle vittime non si rende neppure l’onore della verità. Questo è molto doloroso.

Di fronte al dramma della guerra i bresciani si sono dimostrati straordinariamente accoglienti.

È vero, io stesso ho portato questo sentimento alla popolazione ucraina durante la loro celebrazione della domenica delle palme alla chiesa di San Giuseppe. Vogliamo testimoniare con forza che l’ultima parola non è quella del buio, ma la capacità di vita e riscatto. L’accoglienza testimonia che la vita è più forte della morte.

Non dobbiamo però nasconderci che non sempre si è avuta una così significativa testimonianza di accoglienza. Esiste un’accoglienza di serie A e B a seconda del popolo che bussa alle nostre porte?

Il rischio c’è, non dobbiamo negarlo. Vari elementi hanno fortunatamente giocato a favore di questo popolo in fuga dalla guerra. Il confronto con altri flussi migratori? Non dobbiamo fare l’errore di mortificare questa accoglienza, di far sentire in colpa chi ha aperto la propria casa, e magari non lo ha fatto in passato. Leggiamo tutto questo in positivo: da questa esperienza traiamo una lezione importante anche per il futuro.

Monsignor Tremolada, cosa direbbe a un ragazzo russo e a uno ucraino?

Direi loro che, per quanto ora appaia difficile, devono stringersi la mano, devono trovare la forza (insieme) di guardare avanti. Devono parlare, capirsi, perdonarsi. Non devono reagire istintivamente. Solo loro possono farlo, sono loro il futuro, il tempo guarirà le ferite, ma devono i giovani capire che l’odio tra i popoli porta solo dolore ed è contro l’essere umano stesso.

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