Il tempo delle "tacole"

Se lo ricordano sicuramente i nonni e qualche genitore un po’ più in là negli anni. Oggi, se non per le manifestazioni che recuperano il folclore locale, questa tradizione si è persa. Ma aveva un senso, che varrebbe anche ai giorni nostri.
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Se lo ricordano sicuramente i nonni e qualche genitore un po’ più in là negli anni. Oggi, se non per le manifestazioni che recuperano il folclore locale, questa tradizione si è persa. Ma aveva un senso, che varrebbe anche ai giorni nostri.

Durante la Settimana Santa, in particolare nel Triduo pasquale, le campane della chiesa venivano legate: nessun suono doveva udirsi nei giorni che ricordano la morte di Gesù. Per scandire il trascorrere del tempo e l’inizio e la fine delle funzioni religiose, in quei giorni i giovani del paese si armavano di “tacole” (o “ciacole”, dipende dal dialetto del posto), di “ciòche” (campanacci), “corèn” (corni) o altri strumenti e, gironzolando per il paese, facevano baccano.

A Borno, dove alcuni anni fa l’usanza è stata recuperata, i giovani “strumentisti” erano chiamati “maitì”. A Cimbergo, ancora oggi, i bambini si cimentano in questo antico rito il pomeriggio del Venerdì e Sabato Santo. Più che l’annuncio della Messa, sono diventati un tuffo nel passato, per far provare alle persone anziane le emozioni di gioventù, con “ciacole” (raganelle), “grì” (da grillo), “musec” (una sorta di flauto ricavato dalla corteccia del castagno) e “coran del bec” (il corno della capra).

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