Il rispetto è come una pianta sempreverde

Per qualche ragione il sentimento del rispetto potrebbe essere paragonato alle siepi di bosso
Il sentimento del rispetto potrebbe essere paragonato alle siepi di bosso
Il sentimento del rispetto potrebbe essere paragonato alle siepi di bosso
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Per qualche ragione il sentimento del rispetto potrebbe essere paragonato alle siepi di bosso, quegli arbusti che i giardinieri potano con arte topiaria e trasformano in sculture vive. Il principio di relazione si fonda sul fatto che entrambi sono dei «sempreverdi» e come tali non ingialliscono e non perdono mai le foglie, neppure nelle stagioni avverse.

Ci ho pensato tornando in treno da Roma, ascoltando le conversazioni telefoniche di un logorroico sconosciuto. Egli parlava dando sfogo a un rabbioso dolore indifferente della mia vicinanza, quasi fossi stata trasparente. La sua voce seppure alterata conservava una tonalità calda che ricordava quella dell’attore Luca Ward e, guardandolo più attentamente, ho trovato in lui anche una certa somiglianza. Sono stata involontaria testimone di confidenze intime, relative al tradimento compiuto dalla donna che amava.

Egli cercava motivazioni su pezzi di vita andati in frantumi, quattro anni di una storia comune e di sogni interrotti a causa di una presunta infedeltà. Intervallava silenzi cui seguivano parole ingiuriose, mentre ad alta voce ripeteva : «che schifo, com’è possibile che sia capitato proprio a me?». Poi chiudeva il telefono, inspirava rumorosamente dalle narici e si passava le mani tra i capelli, sempre più assorbito da un visibile dolore grigio come la sua barba. Per evitare di guardarlo mi concentravo sul mio libro ma la sua amarezza tracimava e mi faceva pensare alla frase di Bertolt Brecht: «tutti a dire della violenza del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono»...

Quel giorno per altri motivi anch’io avevo dentro un dolore, viaggiavamo insieme e avevo la sensazione di sommare il suo al mio malessere. Poi «come i treni a vapore di stazione in stazione» il suo dolore passò, il tono cominciò ad ammorbidirsi, sentii parole di scuse e poi frasi d’amore. A Verona scese ma sembrava avesse dimenticato sul sedile un pensiero stropicciato su cui riflettere. Mi chiesi se oggi noi donne possiamo ancora sentirci libere di mostrare le nostre debolezze. Se siamo ancora convinte da una cultura millenaria che il carapace maschile sia più duro delle nostre corazze. La nostra civiltà pur fondata sulle naturali differenze fra uomini e donne esige un rispetto che reciprocamente devono osservare. Entrambi sono accomunati dal medesimo sentire e vestono la stessa tunica di pelle che li rende esattamente uguali di fronte alla sofferenza.

 

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