Il maloàmen dei latini e i tàter dei vichinghi

A zonzo tra le memorie e le curiosità dei nostri lettori, che sono la vera fortuna di questa rubrica
Stracci, o i Tattern tedeschi da cui tàter
Stracci, o i Tattern tedeschi da cui tàter
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La fortuna di Dialèktika sono i suoi lettori. Un vero tesoro di memoria, di curiosità e di affetto per la lingua dei nostri nonni.

Pesco da alcune mail. Paolo da San Zeno mi parla di come suo padre - classe 1932 - usi regolarmente l’appellativo maloàmen quando vuole indicare un malintenzionato, un poco di buono. Da dove deriva? Secondo me fa parte di quella grande famiglia di espressioni che il nostro dialetto creava storpiando o fraintendendo lingue «nobili» come l’italiano e il latino. Capitava spesso - ad esempio - che le preghiere venissero recitate tutte d’un fiato, magari a scapito di una comprensione piena. Così la chiusa del Pater Noster diventava «lìberanòsamàloàmen»: liberaci da maloàmen.

Paolo, bassaiolo doc, mi ricorda l’espressione «’ndà a töga l’antù» per indicare l’andar per le lunghe. Da dove deriva? In questo caso non si tratta certo di una grossa anta. Piuttosto antù ha qui il significato di una grossa porzione di campo. Più precisamente, il Melchiori lo definisce «spazio di un terreno che sta in mezzo l’un filare delle viti e l’altro». Passare da un antù all’altro voleva dire percorrere tutta la lunghezza del filare. Quel che si dice un giro largo.

Adriana, valsabbina, mi ricorda infine l’aggettivo tàter che significa cianfrusaglia. Da dove deriva? Ho scoperto che in tedesco «Tattern» significa stracci, proprio come l’inglese «tatters». E gli studiosi sostengono che la radice affondi addirittura nello scandinavo antico. Roba da vichinghi, altro che cianfrusaglie.

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