Il grido dei giovani, il silenzio dei politici

Alla fine degli anni Sessanta ci fu il ’68, nei Settanta il ’77e la creatività degli «indiani metropolitani» mentre l’Italia viveva l’angoscia degli anni di piombo. Solo i falsamente gioiosi anni Ottanta non proferirono parola. Poi nei Novanta l'urlo contro la corruzione e i tagli, mentre negli anni Dieci del Duemila contro il debito, il precariato, i bassi redditi.
Oggi l'archivio storico della contestazione giovanile italiana ha un nuovo file. Nome della cartella: clima. Perché neppure la terza rivoluzione industriale può fermare lo scontro generazionale. Così nei nuovi anni Venti la lotta è esercitata per qualcosa di ancora più importante, persino più dei diritti civili. La sopravvivenza.
Dal 2018 - la nascita del movimento globale «Fridays for Future» - è soprattutto grazie ai ragazzi se è cresciuta la sensibilizzazione sui cambiamenti climatici. Presto hanno anche smesso di manifestare contro i mulini a vento e si sono rivolti ai più grandi: Cop27, istituzioni europee, governo e candidati. Ma quasi sempre sono rimasti inascoltati, anzi in principio furono «gretini».
Anche in questa campagna elettorale - hanno denunciato all'antivigilia del voto - nessuno dei grandi partiti ha messo nell'agenda gli allarmi ambientali. La vera differenza col passato sta proprio qui: i 15 anni a cavallo tra gli anni '60 e i '70 coincisero con quelli delle riforme. Perché in qualche modo la politica rispondeva a quelle richieste. Oggi, invece, lo scollamento pare totale.
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