Il dio minore protegga il talento femminile

In questo quotidiano bailamme, dove tutto viene messo in discussione e i codici del bene e del male si distinguono a malapena voglio ragionare sul talento, quel dono naturale difficile da recintare dentro muri di parole. Per sua natura è astratto e anticonformista come la «macchia gialla che alcuni pittori con la loro arte e intelligenza trasformano nel sole».
Il vocabolo definisce l’eccellenza di uomini e donne differenti, è una sorta di pietra filosofale che può tramutarsi in oro, in elisir di lunga vita oppure disperdersi. Prima che la pandemia alterasse tutte le abitudini mi è capitato di incontrarlo nella settecentesca Villa Bettoni di Bogliaco. L’ho visto prendere forma nel corpo esile di Nausicaa Bono, una ragazza che non aveva neppure 15 anni la quale, sembrava personificare la mitologica figlia del re dei Feaci di cui rinnova il nome. Dopo aver partecipato all’Alto Corso di formazione della Fondazione Romano Romanini con il maestro Giovanni Sollima, aveva affascinato il pubblico con la sua bravura e per la sua grazia innata suonando il violoncello. Il talento è quel valore aggiunto che interrompe la routine dell’ordinario, indifferente a luoghi, razza o condizione umana.
È l’estro del genio nella sua improvvisazione, la capacità di eccellere nelle piccole o grandi cose, è l’acume nell’individuare ciò che la massa non vede. La storia racconta che per troppi secoli il talento delle donne è stato negato, sfruttato, insabbiato o ammesso con riserva. Molte delle loro skills ancora oggi continuano a essere considerate delle semplici attitudini. Raramente i loro nomi vengono incisi su lapidi di marmo per essere tramandati ai posteri attraverso la dedicazione di scuole, piazze o strade, ancor meno per una struttura sportiva. Per questa ragione un gruppo di associazioni femminili bresciane vorrebbero che fosse ricordata Gabre Gabric, la discobola italiana di origine croata, che ha dato lustro alla nostra città e all’Atletica leggera nazionale nel secolo scorso. Non esiste in Italia un impianto sportivo dedicato a una donna, seppure siano tante le «tedofore» che hanno ben meritato di portare la fiaccola del sacro fuoco di Olimpia. Nel gioco delle parti le donne hanno potuto contare solo sulla flebile protezione di un dio minore, disattento o poco rappresentativo. La vera azione di difesa della parità di genere è compiuta dalla Natura, ma non basta! Ci affidiamo con fiducia a una maggiore equità degli uomini.
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