Il banchiere appassionato

nUna vita piena, pienissima, ricca di soddisfazioni e carica di lavoro, fino alla fine. Una storia partita da un paesino ligure e culminata ai vertici dell'imprenditoria bancaria nazionale; un percorso raro, una storia piena da self made man. E non è un errore attribuire ad un banchiere una qualifica abitualmente assegnata ad un imprenditore. Perchè questo Corrado Faissola è stato un banchiere-imprenditore, ma forse, e con tutta probabilità, più un imprenditore-banchiere, essendo le qualità del vedere il domani, del calarsi dentro i problemi delle aziende, una delle sue connotazioni specifiche.
Corrado Faissola, presidente del Consiglio di Sorveglianza di Ubi Banca, è morto ieri sera alle 21, aveva 77 anni. Lascia la moglie Francesca e le due figlie Barbara (medico) e Cristina (avvocato).
Me le aveva ricordate lui, le figlie, un bel po' di anni fa quando si andò a sentirlo all'indomani della sua nomina a Cavaliere del Lavoro. Era il 1997. E gli chiesi, fra le altre cose, come un banchiere insegna ai figli il rapporto col denaro. «Io - disse l'allora consigliere delegato del Cab - sono un ligure un po' anomalo. Alle mie figlie insegno a spendere. Ma a spendere in funzione delle entrate. È una regoletta che ho imparato in famiglia. Io sono nato e cresciuto - disse ricordano le origini - a Castel Vittorio, in provincia di Imperia, ai confini con la Francia, nell'entroterra ligure.È un paesino di trecento anime con i contadini che andavano nei campi a dorso di mulo. E da questi contadini ho imparato e fatto mia una grande verità: ed è quella che dice che il vero patrimonio di un uomo sta nella sua testa, in quel che si ha dentro: è il patrimonio più importante, al riparo da qualsivoglia turbolenza. Ed è stato questo, soprattutto, che ho insegnato alle mie figlie».
E quel che Faissola aveva in testa e dentro, come ricordava lui, aveva un suo indubbio spessore. È un po' questo che fa la differenza fra chi è imprenditore e chi no. Testa - e quindi progetti - e cuore - e quindi determinazione per realizzarli. Se c'è una figura che può dire di aver segnato un bel pezzo di storia bresciana questa è quella di Faissola. Avendone avuto opportunità e determinazione, è un segno che vale doppio, trattandosi di banche.
Arriva a Brescia nella primavera del 1987 chiamato dall'allora vertice del Credito Agrario Bresciano, dal presidente Domenico Bianchi e dal vicepresidente Piergiuseppe Beretta. Si intuivano i primi sommovimenti che negli anni a venire avrebbero ridisegnato la mappa delle banche nazionali. «Serve - avrebbe poi detto il presidente Bianchi ai soci nel presentare la scelta di Faissola - un uomo svelto e preparato».
Il Cab al tempo era la classica banca di provincia: indiscutibilmente solida patrimonialmente, inevitabilmente fragile nella strategia che si doveva delineare. Ingaggiare un cinquantenne (Faissola aveva al tempo 52 anni) con un pedigree fu una scelta che - si scrisse al tempo - propugnò soprattutto Piergiuseppe Beretta. Faissola veniva dal gruppo San Paolo di Torino (già un colosso al tempo), ma aveva poi fatto gli ultimi tre anni alla Provinciale Lombarda di Bergamo, banca rilevata dallo stesso San Paolo dai Pesenti. L'esperienza in un grande gruppo prima e quindi in una banca di provincia. Fu un mix apprezzato, evidentemente.
Faissola dette al Cab una scossa formidabile. La banca rischiava di essere schiacciata da gruppi che via via stavano nascendo. E lui decise per una crescita per acquisizioni. In 10 anni, il Cab da 76 sportelli salì a 200 rilevando via via la Banca Carnica, la Banca Zanone, la Popolare di Genova e San Giorgio, la milanese Banca Lombarda e la Banca del Cimino. E fu quest'ultima che face vivere a Faissola - quando emerse un ammanco di 40 miliardi di lire - «il momento più difficile», come ricordava lui stesso.
Era nato un Gruppo. Ma la storia stava solo cominciando. Dopo dieci anni poco più - era il '99 - Cab e San Paolo si fondono. Nasce Banca Lombarda che a sua volta darà vita a quel che è oggi il Gruppo Ubi dopo una ulteriore fusione con la Popolare di Bergamo. È il quarto gruppo bancario italiano. Ma di una cosa, Corrado Faissola andava particolarmente orgoglioso. Di quella classifica scritta a livello europeo che riconosce alle banche italiane di essere le prime per impieghi in rapporto al patrimonio totale e che riconosce a Ubi (con una percentuale vicina all'80%) di avere il primato europeo fra le grandi banche. Prima per impieghi, ovvero prima per vicinanza alle imprese.
Anche per questo si è detto di Faissola imprenditore-banchiere. Ha fatto crescere le banche a lui affidate, le ha strutturate per affrontare le nuove dimensioni del mercato, ma non ha mai dimenticato la ragione prima dell'esser banchiere.
Una ragione che ha trovato molteplici forme di espressione, a seconda dei tempi. Anzi, proprio come chiave di lettura dei tempi. Banca e cultura, banca e realtà sociali radicate, segni del territorio. A cominciare da quel Brescia Calcio che ha amato come tifoso appassionato e che ha accompagnato nei suoi giorni gloriosi come nelle ore più difficili.
Gianni Bonfadini
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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