I sogni interrotti di chi è bella dentro

Da un po’ di tempo dai muri della Metro alcune donne sorridono ai passeggeri. La riflessione di Augusta Amolini
«Belle dentro» di Renato Corsini - Foto © www.giornaledibrescia.it
«Belle dentro» di Renato Corsini - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Da un po’ di tempo dai muri della Metro alcune donne sorridono ai passeggeri. Non pubblicizzano niente, lo slogan «belle dentro» è solo evocativo della loro condizione di detenute, sono le testimonial di un fenomeno di cui si parla sottovoce poiché chi sconta il castigo umano del carcere subisce lo stigma sociale.

La gente guarda incuriosita, con l’interesse breve dedicato a un problema che non si vuole toccare troppo da vicino. Nella Casa di reclusione di Verziano ci sono entrata un pomeriggio piovoso d’inverno, invitata dall’associazione «Libera-mente».

Non ho mai dimenticato la sensazione provata durante il controllo dei documenti e nel vedere una palestra dipinta di fresco, decorata con grandi figure di ginnaste le cui movenze armoniche rimandavano all’idea della danza. Lo spettacolo portato in scena da una decina di detenute raccontava storie di «vite fuori», di famiglie, di bambini, di uomini e di sentimenti domestici fatalmente abbandonati.

La loro tensione emotiva era palpabile mentre con le mani tracciavano gesti nell’aria per descrivere i sogni interrotti nell’attimo in cui avevano percorso il corridoio dalle porte dipinte di giallo, dove il senso di oppressione sembra abbassare perfino il soffitto.

Al termine il pubblico commosso aveva applaudito nuove donne che non percepiva più come carcerate, riconoscendo in esse le persone di cui aveva sentito i nomi, le vicende di emarginazione e la pena, le quali si avvicinarono per offrire dei fiori di carta. Ne ho conservato uno dentro un libro, sul quale una mano anonima ha scritto: «I pensieri volano come le rondini in un luogo dove c’è sempre un nido». Un pensiero immediato che esprime il desiderio di libertà e di casa perduta che in prigione si tramuta in dolore tangibile, misurato dai passi che calpestano spazi circoscritti e sovraffollati, insopportabile come il tempo rallentato dalle azioni ripetute.

Di quelle donne sfuggite per poche ore al destino di un vivere coatto ricordo il loro dibattersi nell’attesa, il barlume negli occhi di pietà verso se stesse che aveva brevemente asciugato la goccia di rabbia che scava la pietra delle infelici esistenze. Gli stessi sguardi sono stati colti dagli scatti del fotografo Renato Corsini, i quali molto diversi da una foto segnaletica, fissano l’immagine della speranza che porge le mani a ogni persona caduta per aiutarla a potersi rialzare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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