«Ho lasciato l’Ucraina: sono cieco e sarei stato di peso»

Dopo 26 ore di viaggio, è arrivato a casa della figlia a Torbole Casaglia. Accolto con l’affetto grande nei confronti di un padre che ha rischiato di essere colpito dai bombardamenti. E, comunque, che aveva appena lasciato un Paese in guerra. Primo Vaia, bresciano che da dodici anni vive a Lutsk, città dell’Ucraina occidentale distante 150 chilometri da Leopoli e cinquecento da Kiev, non avrebbe voluto partire. Voleva restare.
Nemmeno dopo aver sentito nettamente il fischio dei bombardamenti russi sul campo di addestramento e il piccolo aeroporto militare della sua città. Erano le prime luci dell’alba di venerdì, quando l’obiettivo militare è stato distrutto. Primo è rimasto quattro giorni «in sospeso»: dall’Italia la pressione dei figli per farlo partire; da casa quella della moglie Valentina per farlo rimanere anche perché lei è stata chiara fin dall’inizio: non sarebbe partita con lui. Quattro giorni, poi la decisione: mercoledì mattina alle 10 un autista ucraino è andato a prenderlo a casa e lo ha portato al confine con la Polonia.
Il viaggio
«A due ore dalla partenza da casa ero già in terra polacca, superato i controlli senza alcun problema - racconta -. In Polonia ho cambiato mezzo e autisti ed ho percorso in pullman la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia e l’Austria, poi l’Italia. Eravamo una decina di persone, tra cui un bambino di pochi mesi. Io ero l’unico italiano. Il pullman era arrivato al confine da Folzano carico di materiale di prima necessità ed è poi ripartito con le persone che avevano deciso di venire in Italia. In tutto, da Lutsk a Brescia ho speso trecento euro».
Un viaggio senza «alcun problema, se si esclude la difficoltà a poter telefonare» ribadisce Primo che elenca i Paesi attraversati con sollievo per non aver attraversato l’Ungheria che in passato gli ha creato qualche inconveniente. La gioia di riabbracciare i figli e i nipoti non squarcia, però, quel velo di dispiacere per essersi allontanato - «anche se spero per poco» - da Valentina.
La moglie in Ucraina
«Mia moglie è dispiaciuta, ovviamente. E lo sono anch’io, tant’è che ho riflettuto a lungo prima di decidere di partire - continua -. Speravamo tutti che i bombardamenti non si avvicinassero a casa. Ora, però, bisogna essere realisti: io sono non vedente e se serve scappare rappresento un peso per mia moglie e per tutti. Dopo quello che è accaduto venerdì scorso all’aeroporto militare, la situazione non è più tornata del tutto calma, tant’è che dopo è stata bombardata anche una stazione televisiva a settanta chilometri da noi, verso Kiev. Ci sono giorni in cui si sente sparare, altri in cui tutto tace. Sinceramente, non si capisce».
La gioia e la stanchezza
Quando ieri è arrivato a Torbole, intorno a mezzogiorno, le lunghe ore di viaggio hanno iniziato a farsi sentire nel settantenne originario del Trentino che ha trascorso buona parte della sua vita a Marcheno, prima di trasferirsi dodici anni fa in Ucraina, Paese d’origine della seconda moglie. In questo suo peregrinare, ha un punto fermo a Collio, in cui è residente e dalla cui sindaca, Mirella Zanini, ha avuto assistenza in queste settimane difficili. Ed ora? Si fa fotografare in posa orgoglioso con la figlia Jannine e la nipotina Sara. «Sono contento di essere qui, ma spero di poter rientrare tra un paio di settimane, perché significa che almeno la guerra combattuta sarà finita. Del resto, devono trovare un accordo, non è possibile distruggere tutto il Paese in questo modo» afferma.
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